Patrick Wolf
Lupercalia
In fretta (nsomma ), ché il popolo di internet cha troppe cose da fare e ancora meno tempo per farle: Lupercalia è finora il disco più brutto di Patrick Wolf. Il che non significa che sia davvero brutto, giacchè gli standard a cui ci aveva abituato lora ventisettenne di South London erano decisamente alti (è da Lycanthropy, datato 2003, che non sbagliava un colpo). Piuttosto, resta una prova a dir poco interlocutoria. Ha ragione chi ha parlato di un Wolf innocuo. A questo giro di boa il Patrick non morde, non stordisce, non si fa amare incondizionatamente né odiare con foga. Domina un clima di inconsueta medietà, un pudico contenimento da prima comunione. Clima musicale che, come sempre con il nostro lupetto, si riverbera nel look: licantropo stavolta lindo, sognante perché innamoratissimo del suo William (ma allora perché questa sensazione di distacco che traspare dai solchi?), tutto di bianco vestito, quasi peggio del John Lennon buonista di Imagine. A dispetto del proposito di celebrare lamore, ci troviamo di fronte a unepurazione di tutti gli eccessi visivi ed emotivi del precedente, trionfale (nonché suicida, viste le vendite) The Bachelor, di cui questultimo album in origine intitolato The Conqueror e pensato come seconda parte di un dittico rappresenta la nemesi, il dopo sbornia, il ritorno alla sobrietà come fu, copertine alla mano, il "White Album" dopo i fuochi artificiali del Sergente Pepe.
Definito da molti un comeback allart-pop vivace di The Magic Position, Lupercalia si guarda bene dal replicarne anche la qualità. Laddove quello ti piazzava una giostra al technicolor come la Title Track, questo non va oltre il girotondo vagamente mariachi (comunque non malaccio) di Bermondsey Street o il corale spedito/ritrito di The Future; se là troneggiava, quasi in chiusura, lastrattismo a goccia di rugiada di The Stars, qui cè solo la visionaria ma inappagante Slow Motion a ricordarci dei trascorsi folktronici del Nostro. A dettar legge sono invece ballate mid-tempo, rotonde e pop, sontuosamente vestite ma dal design algido od ornate forse troppo leziosamente, con moderato dispiego di chitarra acustica (strumento che Wolf non usava dai tempi di Lycanthropy), pianoforti, archi danzanti, fiati, innesti tecnologici mai troppo invadenti e una spruzzata di elettronica.
Escluse Bermondsey Street e una passabile House (la melodia vocale della strofa mi ha ricordato un po il ritornello di The Promise targata When In Rome), la prima metà del disco è francamente imbarazzante. Le cose migliorano sensibilmente da Time Of My Life in poi, con il carillon tutto lacrimoni The Days e soprattutto The Falcons, che sboccia sonata barocca e ivi muta in cavalcata romantica: luogo topico della poetica wolfiana, eppure capace di conquistare con uninedita schiettezza, lappeal scanzonato, lhook semplice e indimenticabile.
Ma è Together a sbancare e assieme giustificare una mezza stelletta in più nel voto: incrocio bastardo fra una scurissima base Hi-NRG e polpa da grandeur sinfonico, orchestra al massimo dellepicità, rullante titanico, Donna Summer nei panni di un soprano cicciona che, nel cambio di accordi del chorus, guida i violini in unelevazione celeste da lasciare a bocca aperta (il modello sembra proprio essere quel concentrato di grazia angelica che è I Believe In You di Kylie Minogue, la cui melodia viene ripresa quasi alla lettera dagli archi durante le sezioni strumentali del ritornello).
Non credete, insomma, alle storielle che vi racconta Pitchfork: nessun brano di Lupercalia, nemmeno il più scarso, è lontanamente assimilabile al trash becero dellultima Lady Gaga. Posto che un istrione come Wolf in veste dance-pop farebbe scintille (e il bellissimo inedito Wild Life, ascoltato nei live dellultimo anno e mezzo, sembrava proprio puntare in quella direzione), non cè nulla qui che possa giustificare un simile accostamento. Magari, sì, una strizzatina docchio al mainstream (cioè indie-stream, nel nostro caso) laddove in passato vigeva un fiero procedere contro le mode. Ma non è questo, come già si è detto, il problema. Niente allarmismi, comunque. Potrebbe anzi, dovrebbe trattarsi di un calo fisiologico dopo una stagione creativa che ha poche rivali nellultimo decennio. Insomma, un break. Bene così. Che il lupastro conservi lululato per giorni (notti) migliori.
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