C Capitolo 27 - I cantautori degli anni’70 - pagina 3 di 3

27 - I cantautori degli anni’70 (3/3)

Se la nuova ondata di cantautori anni’70 si apre con “Sweet Baby James” è col meditabondo e filosofico “Late for the Sky”(1974) che viene consacrato uno dei più dotati songwriter del suo tempo, quel Jackson Browne che insieme a Taylor e alla Mitchell viene solitamente citato nella “triade sacra” degli anni ’70.

Un caso a parte il genio che anima i dischi di Tom Waits, esordiente nel 1973 con “Closing Time”, autore poi di una trilogia a fine ’70 (“Small Change”, “Foreign Affari” e “Blue Valentine”) in cui una voce a metà tra Louis Armstrong e Captain Beefheart si lancia in recital beat, ballate pianistiche ubriache e spezzacuori e jive indemoniati su note bebop; svolta musicale ed ulteriore capolavoro nel 1985 con “Rain Dogs”, centro di una nuova trilogia , la cosiddetta “trilogia di Frank”.

Altro eccentrico è Randy Newman: se però Waits ama strisciare tra le sonorità di bassifondi e bettole fumose, Newman preferisce muoversi tra le luci di Broadway e le celebri strade della Tin Pan Alley, pur non disdegnando rhythm’n’blues, ragtime, lo swing ed il suono delle jug band: di quegli autori, in particolare dei vari Gershwin, Kern e PorterNewman è l’erede ideale, come dimostrato nel capolavoro “12 Songs”(1970).

Erede del Dylan più caustico è Warren Zevon, già autore storico per i Turtles e amico di Browne, che fa del suo peggio nel disco omonimo 1976 con pezzi dalla raffinata vena melodica e dal tono bilioso e amaro; dalla figura di Joni Mitchell discendono invece Joan Armatrading e Rickie Lee Jones, riprendendone la scrittura sofisticata ed aristocratica: la seconda, in particolare, al debutto omonimo nel 1979, atmosfere notturne e sofisticate che riportano alla mente Laura Nyro va a chiudere un decennio che, ancor più di quello precedente, aveva messo le basi e creato un modello insuperabile per tutto il rock cantautoriale degli anni a venire.

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