Storia della musica
Scrivi una recensione
News
Storia della musica
Recensioni 2019
Oldies
Articoli
Artisti
Classifiche
Forum
Contatti
Storia dei film
Accedi
Indie Rock
Indie Pop
Songwriters
Metal/HC/Punk
Avant-Post
Soundtracks
Pop
Elettronica
World
Soul/Jazz
Classic/Psych/Wave
HipHop
News musica
Invia un comunicato
Invia una news
Prenota una recensione
Invia una recensione
Invia un articolo
La redazione
Abbonati a Storia
Storia su
twitter
Storia su
facebook
Ultimi commenti:
RIP Steve
di
zagor
Uno dei suoi dischi migliori.
di
bluesboy94
Questo disco rappresenta senza dubbio l'...
di
bluesboy94
È davvero un peccato che questo gruppo...
di
bluesboy94
Il folk progressive britannico degli...
di
bluesboy94
Yankee Bayonet ... appartiene a quelle...
di
Giuseppe Ienopoli
C'è anche il Fanfarlo al latte...
di
Giuseppe Ienopoli
Per la serie ... è più bello il video...
di
Giuseppe Ienopoli
Ultime dal forum:
Sondaggio Smartphone
di
brutto trip
di
Top ten 2008 filmz. E fatevi sta cultura cinematografica
di
Zeitgeist-Peter Joseph
di
CINEMA je t'aime-Il topic ufficiale dei filmz
di
SEVENTH SENSE Demo Pro 07_
di
primi passi NEL forum
di
recensioni
di
L'avatar
di
Subject2
di
Ultimi articoli:
Ultime recensioni:
Mirco Menna
SeStoQui
Bachelor
Doomin' Sun
Mdou Moctar
Afrique Victime
HUMANBEING
Humanbeing
The Chills
Scatterbrain
TEKE::TEKE
Shirushi
The Black Keys
Delta Kream
Fabio Caucino
Morimmo Tutti D’Abbondanza
IOSONOUNCANE
IRA
R
Classifica 2014 di Matteo Castello
9. Grouper
Ruins (Kranky 2014)
Liz Harris è finalmente giunta al suo lavoro definitivo. In Ruins viene cristallizzata (anzi, distillata) in otto gemme l'esperienza di una lunga carriera. Tracce precarie che si snodano in bassa fedeltà, tra lo scricchiolare del mondo tutto intorno, il gracidare delle rane, le intrusioni più o meno ambientali. Eppure al centro ci sono il piano e la voce di Harris (mai così essenziali), che erigono melodie spettrali eppure intensissime. Di nuovo, però, lo spazio determina la grana dei suoni, partecipando allo svolgimento con le risonanze generate dagli oggetti, dalle pareti, dai vetri. Un vero gioiellino.
6. Sun Kil Moon
Benji (Caldo Verde 2014)
Un album così bello Kozelek non lo faceva dai tempi di Ghosts of the Great Highway. Un album di famiglia, un testamento, dove rivivono -debitamente romanzati- personaggi, storie, drammi, frammenti biografici di ogni sorta. Il livello della narrazione è altissimo, da grande prosa americana: da quelle che sono vere e proprie confessioni nascono riflessioni collettive di grande impatto. La musica, poi, raggiunge vertici inaspettati: dagli arpeggi dolenti di Carissa alle atmosfere cupe e claustrofobiche di Richard Ramirez Died Today, Kozelek riesce a dar vita a melodie struggenti come niente fosse, con un'eleganza e un'autorevolezza invidiabili.
5. The Horrors
Luminous (XL Recordings 2014)
Padroni indiscussi della scena neo-psichedelica inglese, gli Horrors confermano il loro ottimo stato di salute con un disco strepitoso, che rinnova una proposta, finora, mai arrestatasi. Il sound si arricchisce di una presenza massiccia di componenti electro che vanno ad aggiungere scintillanti cromature alle nebulose soniche di cui la band è somma domatrice. Composizioni in continua espansione, stratificazioni sovrapposte di chitarre e tastiere trattate, manipolazioni di sequencer, squadrature kraute e aperture su spazi siderali. Gli Horrors sono i nuovi corrieri cosmici.
4. The Heartbreaks
We May Yet Stand A Chance (Nusic Sounds 2014)
Il secondo disco degli Heartbreaks, dopo un esordio-manifesto di intenzioni indie e jangle, è un concentrato di grandeur pop. Big music, per qualcuno. Gli inserti western e country, gli arrangiamenti magniloquenti, gli svolazzi di archi, le scenografie spagnoleggianti, i richiami letterari (Hemingway su tutti), uniti alla padronanza assoluta dei propri mezzi, permettono alla band di Matthew Whitehouse, Ryan Wallace (novelli Morrisey e Marr?), Christopher Deakin e Joseph Kondras di non scadere mai nel kitsch. Il risultato è uno dei lavori più sorprendenti e creativi degli ultimi anni.
3. Ryan Adams
Ryan Adams (Pax Am 2014)
L'America di Ryan Adams è inquieta e provinciale ma dalle larghe vedute, intimamente conservatrice ma ancora capace di far leva su slanci universalistici. E il suo ennesimo disco è un piccolo gioiellino di cantautorato heartland rock che, pur facendo leva su un linguaggio riconoscibile (che va dallo Springsteen più classico all'alt-country, passando per il folk), si connota di un'espressività del tutto contemporanea, in grado di connettersi con la sensibilità di un'intera generazione. Ryan Adams ci parla di spaesamento, di perdita, di parole che non vengono fuori. Parla però anche di rivalsa e di averne piene le palle di arrendersi. E lo fa creando un'epica dimessa, intima. Lo fa con la stazza di un grande autore. Poco da fare, Ryan Adams ha sfornato un classico.