The Horrors
Luminous
A Flock of Seagulls. Echo & the Bunnymen. Gary Numan. Clan of Xymox. David Bowie e Alan Parsons. Donna Summer e Giorgio Moroder. Hawkwind e Who. Joy Division, Cure, Psychedelic Furs, Simple Minds, U2, Depeche Mode, Verve. Il Madchester sound, ci mancherebbe! Shoegaze, kraut-rock e dream-pop in quantità, pescate pure nomi a caso, vanno tutti bene.
Sono solo alcuni dei paragoni che si sono visti in giro per la rete da quando gli Horrors hanno pubblicato I See You il 24 febbraio. Precisiamo che non si sta parlando dellintero album, ma di una singola canzone. Si pretende insomma che gli Horrors siano derivativi (dobbiamo leggere questa barzelletta dai tempi dellincendiario album di debutto), poi però quando si tratta di individuare da chi, salta fuori lintera storia del rock. È evidente che qualcosa non quadri: come può un solo brano, strutturalmente del tutto lineare (strofa, ritornello, coda strumentale), rimandare in contemporanea a una trentina di artisti sparsi lungo tre decadi di musica?
La mia impressione è che il pubblico della musica alternativa stia gradualmente perdendo il piacere dellascolto, affogando sempre di più in una frigidità dal sapore snob in cui saper sfoggiare il nome del rimando per dimostrare la propria cultura, è più importante che apprezzare la creazione dellartista nella sua complessità. Ragion per cui mi sento di affermare che personalmente potrei anche sentirceli tutti i nomi che sono stati fatti per I See You, ma la cosa equivale a dire che in realtà non ce ne sento nessuno.
Perché I See You è degli Horrors e basta, forse più di qualsiasi altra vecchia canzone. La maturazione è definitiva. Il suono è imponente, ha una portata sinfonica che fa apparire quasi schiacciata la produzione del precedente Skying, che pure era ottimo e aveva degli elementi comuni con Luminous. Qui gli Horrors si mostrano immensi, non tanto in senso qualitativo, quanto dal punto di vista meramente sonoro. Non ci sono confini, ogni brano è fatto apposta per galleggiarci dentro, per perdersi in spazi irreali. La voce di Faris Badwan, più ariosa che mai, sembra diventare strumento a sua volta e perdere corpo, le sue eteree linee melodiche si sfaldano, rimpolpandosi a vicenda col sottofondo strumentale.
NME vociferò della pubblicazione di Luminous già nel maggio 2013, che poi divenne settembre, quindi un imprecisato inizio 2014. Si è così arrivati al maggio 2014, e basta un ascolto per capire il perché di questi continui rinvii. Se gli Horrors si sono da sempre presentati come dei perfezionisti, qui sono davvero andati oltre, settando un nuovo traguardo, che siamo curiosi di vedere se verrà raccolto come in passato lo è stato il testimone dellepocale Primary Colours (che almeno in GB ha generato una lunga scia di accoliti).
Chasing Shadows si apre con suoni di elettronica terzomondista, tutta tastiere fluttuanti e percussioni, per poi scattare con un groove epico ricoperto da vortici sibilanti, in cui distinguere le chitarre di Joshua Hayward dai synth di Tom Cowan è tuttaltro che semplice. Il ritornello plana quindi su tutto come la salvifica luce di un faro.
Rhys Webb, bassista e volto principale quando si tratta di rilasciare interviste, si ritaglia un ruolo sempre più centrale. Se la spettacolare evoluzione nel ritornello di I See You e limpulso ritmico di Chasing Shadows non vi hanno convinto di ciò, lo farà la angelica In and Out of Sight, il brano più vicino alla musica dance mai realizzato dalla band, in cui la linea del basso domina sovrana per tutta la durata.
Mentre il muro di saturazioni di Jealous Sun riporta per un attimo ai tempi di Primary Colours, Falling Star prodotta con lausilio di Paul Epworth punta sul contrasto fra il riff marziale e la dolce melodia orientaleggiante, imponendosi fra i momenti più densi di sentimento.
È però limpensabile ballata Change Your Mind a rubare la scena, una sorta di blues adolescenziale cantato da Faris con un filo di voce nella strofa, prima che il ritornello si gonfi unascesa estatica tutta chitarre effettate e suoni acutissimi di derivazione elettronica. È forse il brano più tenero di una carriera fino a oggi immacolata, suona come la messa in musica di un qualche film di formazione, quelli spaccacuore con cui tutti abbiamo fatto i conti da ragazzini. La parola che più di ogni altra viene in mente ascoltando simili creazioni è entusiasmo. Gli Horrors ne hanno ancora da vendere, e la speranza è che possano mantenerlo ancora a lungo.
Tweet