Ryan Adams
Ryan Adams
Ci fu un momento, allinizio della scorsa decade, in cui Ryan Adams sembrò il classico uomo giusto al momento giusto. Un cantautore di stampo dylaniano ma sintonizzato sulle vibrazioni elettriche dellera Strokes-White Stripes; reputazione a prova di bomba ( lapprendistato alt-country nei WhiskeyTown) e un aspetto piacevole da tipico ragazzone del Sud, con tanto di ciuffo ribelle alla Paul Westerberg. Oltretutto il nostro fu baciato da una curiosa e sinistra combinazione, con il videoclip del suo tormentone New York New York girato pochi giorni prima dell11 Settembre, con tanto di Torri Gemelle ancora ben visibili sullo sfondo.
Dischi come Heartbreaker e Gold sancirono il suo stato di grazia: album piacevoli nel loro rileggere la lezione americana di Dylan, Springsteen e Replacements, con un filo di romanticismo alla Evan Dando, anche se privi di quel sacro fuoco che ti eleva del tutto dalla massa di colleghi nel filone rock dautore (quel quid che rendeva unico un Elliott Smith per intenderci). Aggiungiamoci poi una prolificità eccessiva negli anni successivi del nostro eroe, non sempre attento a calibrare le sue uscite, che a volte sconfinavano nel rock più stereotipato ( Rock and Roll del 2003, ruffiano fin dal titolo) o in ballate per camionisti sedotti e abbandonati, ed ecco che Ryan scivolò inesorabilmente fuori dai nostri radar.
Tutto questo per dire che lAdams meno famoso è tornato con un disco di vaglia in questo 2014, un lavoro degno di stare con i citati Gold e Heartbreaker nel suo podio personale, anzi è forse persino superiore nel presentare un suono più potente e raffinato, accanto a una scrittura in grado di lasciare quasi sempre il segno. Liniziale Gimme Something Good chiarisce gli intenti: un riff di chitarra marziale e un andatura strasciscata e cadenzata in stile Neil Young, le tastiere suadenti suonate da Benmont Tench degli Heartbreakers a puntellare il tutto e un refrain irresistibile alla Tom Petty. Non sono da meno Kim e Trouble, che ridanno linfa e vigore stradaiolo al filone college-rock del Paul Westerberg dei tardi anni 80 con indubbia perizia e savoir-faire. Menzione poi per la voce ormai matura di Ryan, capace di giostrare tutti i cromatismi emotivi, dalle tinte forti del teppistello in pieno raid di Feels Like Fire o I Just Might ai colori sfocati del rimpianto e della malinconia, come evidenziato da riuscite ballate crepuscolari quali My Wrecking Ball e Am I Safe.
"I taught myself how to grow old", cantava anni fa Ryan Adams: si direbbe che sia finalmente riuscito a coronare il suo intento, a volte invecchiare riesce bene.
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