Metallica
Kill'Em All
Nel corso degli ultimi due millenni di storia umana si sono alternate personalità al di sopra delle altre che hanno espresso, in modalità completamente dissimili tra di loro, concezioni filosofiche riguardo la vita, la morte, la paura causata dall'oppressione di arrivare a questo terribile traguardo, l'amore e, non meno importanti, la follia e la violenza.
Riguardo la follia, sono stati scritti un buon numero di libri, su tutti il celeberrimo Elogio. Riguardo la violenza, non sono stati utilizzati solamente metodi cartacei, ma anche di tipo "sonoro"...
Lantefatto.
In un certo annuario di un certo liceo di Los Angeles, fine anni 70/inizio 80, possiamo leggere: JAMES HETFIELD: Ama: il rock heavy metal, lo sci d'acqua, andare ai concerti. Odia: la disco, il punk. Dichiara: lunga vita al rock. Progetti per il futuro: fare musica e diventare ricco.
Già da queste note possiamo intuire che questo ragazzo, con una situazione familiare molto difficile (la mamma morta di cancro), voglia cambiare vita concedendosi a delle grandi ambizioni. Inizia infatti poco tempo dopo a spianare la lunga strada della carriera, suonando la chitarra elettrica con un suo amico improvvisatosi bassista, Ron McGovney, in una casa lasciata libera dai familiari di quest'ultimo. E' materiale grezzo, acerbo, ancora non ben definito, quello che producono. Legittimamente, decidono di ingaggiare un batterista, per costituire almeno un trio. Chiamano un ricco ragazzotto danese trasferitosi negli Stati Uniti: Lars Ulrich. Il provino col gruppo non è tra i migliori. James onestamente dichiarerà: Quando abbiamo chiamato Lars per il nostro gruppo, è stato una delusione. Come batterista faceva ca**re.... Dapprima lo cacceranno, poi lo richiameranno, trovandolo notevolmente migliorato. Per trasformare il trio in un quartetto, provvedono a chiamare un abilissimo chitarrista solista, Dave Mustaine, un ragazzo a volte un po' picchiatello. Questi sono ufficialmente i primi Metallica. Verrà poi una lunga "discriminazione" a base di scherzi di McGovney da parte dei tre, col conseguente ritiro del bassista e l'assunzione di quello che diventerà il più grande suonatore metal di questo strumento a quattro corde: Cliff Burton, un giovane serio e preciso, provvisto di eccellente preparazione classica (Mozart, Bach, Beethoven) e di notevole tecnica. Una vera miniera d'oro in un sol colpo. Questa sarà la formazione che rimarrà per un certo periodo di tempo. I quattro, nella vita privata, risultano un bel disastro, con una vita regolata da alte consumazioni alcoliche. Lo stesso non si può dire riguardo al profilo musicale. Incidono infatti, per la Metal Blade (importante etichetta metal indipendente), un importante brano che ancora oggi riesce a riassumere parte della loro filosofia: Hit The Lights. In successione, portano a conclusione tra l82 e l83 il loro, primo demo: No Life Til Leather (primo verso di Hit The Lights). Esso è provvisto di tutte le canzoni che andranno nel futuro lp, tranne una certa The Mechanix (incisa dal successore di Mustaine, un giovane allievo di Satriani con basi chitarristiche soliste anni 70, Kirk Hammett) che verrà sostituita da una terribile, stentorea canzone, The Four Horsemen.
La pietra angolare.
Uscito nel 1983 con una tiratura modesta di copie, KillEm All, già dal titolo, dimostra di essere filosoficamente nichilista e molto, troppo schietto. Lefferatezza di questo cd non è fine a se stessa; perlopiù lautocompiacimento è uno scopo prettamente secondario, discendente dallideale Metallo Per Vivere. Lo scopo principale dellalbum è, senza ombra di dubbio, riassumere in dieci tracce incandescenti: sentimenti di nazismo (inteso come profonda violenza), devastazione, tributi al rock (e involontariamente al punk) che fu, lacrime di profonda commozione distorta, corde incatramate alla Motörhead, follia Ac-Dc, tardo romanticismo ribelle. James Hetfield in questoccasione non riesce a cantare, semplicemente... urla. Ma ciò non è affatto da considerarsi una pecca, è solo un minimale meccanismo costituente questa macchina quasi perfetta. Empiricamente parlando, anzi, udiamo la sua inflessione vocalica da teenager aspra, immatura, quasi incapace di cambiare tono, ma in questo complesso di difetti è così perfetta poiché parte integrante della mentalità del gruppo. Ad un primo ascolto si ha limpressione di assaggiare un miscuglio di polenta e cemento armato, ergo qualcosa di davvero difficile da digerire se non si riesce immediatamente a penetrare nella giusta ottica. Riprendendolo poi si inizia progressivamente ad intendere, scovare il vero concetto anticonformista.
La strage sonora trova il suo incipit con il loro, primo brano cronologicamente parlando. Se Hit The Lights da una sponda morale può sembrare ancora acerba, soprattutto per quanto riguarda le liriche (vedesi il primo verso: No life til leather, well gonna kick your ass tonight!), da unaltra parte, quella sonora, si rivela già profondamente matura, essendo provvista di unottima porzione ritmica, scavalcata poi dai fulminei assoli torcistomaco, al culmine del limite sonoro.
Succede la sostituta, come abbiamo detto prima, di The Mechanix, ovvero una tra le migliori tracce, se non leccelsa.
Una sezione ritmica chitarristica analoga ad una forsennata cavalcata, scandita con precisione estrema dalla batteria, fanno sì che The Four Horsemen si dimostri, già di primo acchitto, un brano davvero godibile ed accattivante. Lincursione vocalica di James avvalora pienamente tale tesi, contribuendo a cospargere schizzi di sangue e ferocia in questi sette minuti di crociata negativa, fortemente distruttiva e pessimista, successivamente agitata da improvvisi cambiamenti di ritmo, il quale le conferisce un clima spettrale, prettamente nelle parti testuali (Famine... Pestilence... Death); poi, rassenerando lapparato cardiocircolatorio dellascoltatore, sopraggiunge un lento assolo, corredato da una lucente parte ritmica, perfetta metafora musicale dellespressione buon viso a cattivo gioco: è solo un calmante per permettere di arrivare alla successiva tempesta distorta e fortemente acidula, costituita da un beffardo, orrorifico assolo. Epilogo: riproposizione del tema principale e brusco smorzamento.
Limprescindibilità di Motorbreath è pienamente giustificata partendo dal presupposto che si qualifichi come LA canzone ideale dei Metallica del periodo Burtoniano. Infatti in questa esperta e precisa composizione possiamo visibilmente ammirare la quintessenza della batteria thrash, entrata a far parte dellimmaginario collettivo di ogni drummer metal; la forsennata processione di cavalieri neri incanalati brutalmente negli overdrives di James e Kirk, i quali a livello strumentale riescono a donare la loro magnanimità, edificando lidoneo edificio architettonico per la sede della follia, esagitato notevolmente da una inarrestabile maratona vocalica, ricca danimo dello stesso Hetfield. Si percepisce, nel mitico assolo hammettiano, la massima estremità dellinsanire del quartetto. Ritmica sincopata, chitarre erosive, diluvio di bacchette, catrame nelle corde vocali.
Ed eccoci arrivati a qualcosa di davvero singolare. Jump In The Fire, da cui è stato tratto il primo EP, possiede nei suoi scarni caratteri un immenso pregio, il riff. Terribilmente accattivante, così irresistibile che spinge forzatamente lascoltatore a lasciar trascorrere i secondi sul lettore, si rivela in modalità davvero beffarda un temibile effetto collaterale. Consideriamo infatti il passo falso commesso nel brano: la ritmica davvero poco variegata si appoggia prevalentemente su questa godibile successione di accordi, la quale però a lungo andare annoia un po. Ci troviamo con i piedi in una scarpa (e mezza).
Anesthesia (Pulling Teeth) si candida come il perfetto strumentale di un componente secondario perché non frontman, ma così fondamentale in quegli anni, lo stimatissimo Cliff. E qui, solo qui, che riusciamo a scovare il delizioso approccio alla commozione nel primo minuto, con una distorsione che dà lidea di un antico videogioco, apparentemente suonata in modo approssimativo. La smentita arriva nella ultima fase, dove Burton viene fiancheggiato dalle pelli di Ulrich, riuscendo in questo modo a generare una avanzata forma di romanticismo in preda allacetone. Ciliegina su di una torta forse spiacevole ad osservare, ma farcita dai migliori pasticcieri.
Le lacrime emozionali vengono messe a tacere dal veloce incipit (rullate + chitarre) di Whiplash. Si può definire uninteressante rivisitazione, forse, di Motorbreath in una salsa alterna, magari ancora più spietata. Il ritornello è previsto di un connubio tra smorzamento e accelerazione, per cui la voce di James (Adrenaline starts to flow, youre thrashing alla round, acting like a maniac... Whiplash!) è collocata in un perfetto limbo sonoro, anello di Moebius, da cui è praticamente impossibile riuscire ad evadere da unaltra parte. Il piatto forte è nella fase intermedia, in cui la parola del titolo viene contemplata (nel modo più schizzato possibile) solo al termine di una tormenta nevosa radioattiva, ammirevole e quasi inimitabile.
Lapertura allavanguardia per Phantom Lord illude, non dando la minima possibilità di presagire limponente, irreversibile processione allinsegna delloscurità, di proporzioni titaniche, che trova un punto di fluidità nellennesima galoppata speed metal. Successivamente incrociamo pienamente una sorta di cattiveria celata nella goliardia negativa, terminante in arpeggi dolci e molto melodici, incredibilmente pertinenti al contesto. Dimprovviso, ci ritroviamo pienamente tra lorecchio esterno e quello interno uno straripamento di regolare distorsione, che fa a portare a termine la faticosa parata, riproponendo la parte principale e terminando brutalmente.
Stona un po No Remorse in questaffascinante odissea. Non perché non abbia gli attributi (ridondanza, potenza, aggressività e quantaltro) ma perché semplicemente perde vigore nello svilupparsi, progressivamente lenergia viene un po meno, traspare un po di monotonia. Tolto ciò, comunque, è un buon pezzo che dice tutto quello che cè da dire. Come da programma insomma.
La genesi 007 di Seek And Destroy fa di essa una canzone fissata su piloni saldissimi, lezione rock di alta classe. Lintercedersi delle chitarre solista e ritmica è semplicemente delizioso, costituisce unintesa perfetta tra i componenti del gruppo. La parte vocale è doverosamente partecipe, seppur in tono leggermente minore rispetto ad altre occasioni. Si riesce ad incarnare perfettamente una specie di Attila degli anni 80, devastatore però non volgare, giustamente supremo, che porta alla distruzione totale tutto ciò che riesce a trovare. E lo notiamo nel cambiamento di ritmo intermedio-finale, di ossatura sincopata, rivestita di fasci muscolari solisti terribilmente potenti e piacevoli da udire, per orecchie allenate ovviamente.
Degnissimo epitaffio finale di questa inossidabile pietra lapidare trasfigurata su disco rigido è Metal Militia, che si diverte a gironzolare per tutti i brani prelevando spunti qua e là e amalgamando insieme ad essi caratteristiche proprie. Per esempio, liniziale distorsione a sfumare, il cacofonico assolo nel mezzo che pigia a tutto gas, contornato da uninflessione vocale ossessa e fortemente insalivata da corrodere il palato, quasi le ghiandole producessero acido.
KillEm All quindi compone un roccioso tassello sia per quanto riguarda lambito musicale che quello emozionale. E doveroso però ringraziare lalterno Dave Mustaine: è pur grazie a lui che la filosofia moderna, nel luglio 1983, ha reclutato un nuovo esponente, anzi 4.
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