Green Day
American Idiot
Non a caso, la sua uscita viene fissata in America per settembre 2004, tempo delezioni presidenziali. Il motivo è semplice: questo gruppo, proclamandosi paladino della giustizia, vorrebbe bloccare lelezione del presidente George W. Bush raccogliendo, già prima della vendita dellalbum, una serie di firme da parte dei fan. Il disco poi ottiene leffetto desiderato: oltre 9 milioni di copie vendute, quasi a celebrare i fasti di Dookie, lalbum che, così dicono, ha fatto rinascere il punk. Missione compiuta per Billie Joe Armstrong e soci, ma per chi si sarebbe aspettato un disco di punk tirato (era normale dopo lo scialbo Warning di quattro anni prima...) nulla è accaduto. Eppure la critica ha osannato American Idiot, considerandolo addirittura il nuovo Tommy oppure una pietra miliare del genere punk rock, lerede di London Calling. Ormai non ci si può più fidare più di nessuno, triste ma vero...
Lalbum, obiettivamente parlando, è poca cosa. I guizzi artistici sono quasi inesistenti, i pezzi-riempitivo tanti, troppi. Le tracce non divertono, sono davvero sciatte, realizzate con lespediente di due accordi (e non è punk!) e tanta, tanta melodia che emoziona le fan più desiderose di sentimenti. Si reputa un disco duro, ricco di chitarre taglienti, ma si rivela unaccozzaglia, un pout-pourri di melensaggini e di disperato divertissement. Per chiarire la questione, analizziamo i brani.
Si parte con la title-track, che il gruppo stesso definisce una crociata contro il presidente bastardo e tutti i fessacchiotti che restano incollati alla tv, schiavi dei media. Piccola contraddizione: allora perché registrare degli splendidi video su MTV? La questione non regge. Musicalmente parlando, 3 minuti ed oltre di ordinarietà, con qualche facile rullata di Trè Cool, un basso che non si sente quasi per niente, un Billie Joe che recita la sua filastrocca sapientemente e un assolo di chitarra, a dir la verità, abbastanza energico e carino. Lunico fattore che fa sì di non rendere la traccia terribile.
Jesus Of Suburbia è, a ragione, una tra le migliori composizioni di questo concept. Non a caso, nelle vendite come singolo, non ha fatto sfracelli. Racconta della vita di un ragazzo punk e ribelle (uffa!) che lascia la ragazza, scappa da casa, conosce tante donne, insomma vive la vita Sex, drugs & rockn roll, per poi, con un po di moralismo, ritornare nella sua dimora. E divisa in 5 parti (Tommy docet). La prima porta il nome omonimo ed è abbastanza lagnosa, ravvivata ogni tanto da 4 colpi di chitarra suonata molto, forse troppo semplicemente. La seconda, City Of The Damned, è notevolmente più apprezzabile, avendo una discreta dose di pathos e un ritornello incalzante, senza contare unottima gestione di batteria. Insomma, per una volta, niente male davvero. I Dont Care riesce addirittura ad essere meglio, con una chitarra abbastanza buona nella parte iniziale, per arrivare ad emulare il metal per una decina di secondi. Un podi divertimento, finalmente... La durezza diventa dolcezza in Dearly Beloved, un insieme di leggerezza che, sinceramente, fa piacere ascoltare. Anche il coretto non ci sta male. Tales Of Another Broken Home inizia con una buona sonorità di basso e, nellinsieme, non dispiace molto. E una parte onesta, che dice ciò che deve dire, e trova lepilogo un due tastate di pianoforte, una quasi-sospensione sonora e un prevedibile boom finale. Bravi, bene, bis.
La terza canzone riesce ad essere di una mediocrità perfetta. Si chiama Holiday e narra del presunto menefreghismo degli americani che invece di interessarsi dei problemi di guerra, va in vacanza. Parte con una apparentemente vitale schitarrata che prosegue anche da sottofondo nelle parti vocali, una noia mortale. Il brano sembra avere unimpennata, quando si decide di fare un accettabile assolo a scalare, naturalmente secondo loro. Segue una discreta linea di basso di Mike Dirnt e lappello roco e fastidioso dArmstrong che sembra starnazzare fino a culminare nel solito, melenso ritornello.
Neanche viene portata a termine Holiday che sinizia a sentire un semplice campionamento ascensionale costituente lincipit della traccia più discussa del disco, non di certo per motivi positivi: Boulevard Of Broken Dreams. La gran polemica suscitata e alimentata nel 2006 sta nel fatto che gli accordi iniziali siano perfettamente analoghi, in tono e ritmo, alla famosissima Wonderwall degli Oasis. Infatti, Noel Gallagher, acido come al solito, non esitò a parlare: La cosa che mi fa più rabbia è che i Green Day mi hanno plagiato quando ero ancora vivo: se lo avessero fatto dopo la mia morte, ciò sarebbe stato una specie di tributo. Denunce e affini a parte, la traccia è estremamente orecchiabile e facilona, con un ritornello messo al posto giusto per un giudizio globale insufficiente. Guarda caso, è stato il singolone portabandiera: oltre 4 milioni e mezzo di copie vendute. Da notare solo la parte finale, influenzata in un certo modo da melodie dark con ossatura decadente.
Are We The Waiting è di una stupidità inaudita, fa rabbia, offende lascoltatore. E composta da semplicissimi colpetti di batteria che non fanno altro se non creare uno scheletrico ritmo e qualche noterella di chitarra, senza contare una voce né carne né pesce. Tutto qui? Tutto qui.
Fortuna nostra che St. Jimmy, lamicone drogato del Gesù di Borgata, sia finalmente qualcosa che possa essere definita punk (con punte di pop): costituita principalmente da un ritmo molto veloce e perciò fluido, la composizione vanta una freschezza difficile da trovare nel resto del disco, alimentata dalla velocissima parlantina di Billie, che riesce a star dietro al treno chitarristico (peraltro creato da lui stesso!). Nulla da criticare dato che anche la parte finale, a momenti sincopata nel coro, trova lidoneo punto di sfogo. Giù il cappello.
Neanche si fa in tempo ad gioire che si viene presi per il bavero e sbattuti in Give Me Novacaine, pezzo senza infamia né tantomeno lode, percorso da un buon inizio di batteria e una manciata di secondi di buon pathos vocalico, per poi sprofondare in un ritornello banalotto e scontato. Da salvare anche lintermezzino.
Schiaffo insieme Shes A Rebel ed Extraordinary Girl per la semplice motivazione che 2+2= 4. Ovvero, se sommiamo un pezzo inutile ed insulso ad un altro con lidentica qualità, però meschinamente celata dallespediente spagnoleggiante, otterremo una bel minestrone di cipolline bianche, aglio crudo, wasabi e ketchup: indigeribile, da evitare.
Letterbomb, da bravo pacco-bomba, esplode nel momento esatto per lascoltatore-tipo: descrive un ritmo veloce, tenuto a bada dalla batteria potente e scattante; si sviluppa registrando gran orecchiabilità in crescendo; termina nella tristezza, spinta fuori di scena da qualche schitarrata.
Ciò che viene dopo merita rispetto. Non tanto per la musicalità in sé (comunque accettabile) ma per il fine che si è voluto raggiungere. Wake Me Up When September Ends è una dedica delicata fatta da Billie Joe al padre, purtroppo consumato nel lontano 1982 da un cancro allesofago che gli fu fatale. Si racconta che il figlio si chiuse in una stanza e disse alla madre Svegliami quando finisce Settembre, preso dallo sconforto. Da qui il brano, registrato solo ora e non prima poiché comunque può assumere anche il valore di critica alla guerra. Un buon testo è tenuto testa (perdonate il gioco di parole) da una melodia dolce, discreta in tutti i sensi. Si parte con chitarra classica per arrivare allelettrica a metà brano e nellassolo buono ed efficace. Accettabile, come detto prima.
Ed ecco arrivato il momento della seconda suite da oltre 8-9 minuti: Homecoming, ergo il follow-up di Jesus Of Suburbia. Il nostro ragazzo ritorna a casa, vede la morte del suo amico Jimmy, si fidanza e si lascia. Melodicamente, più debole di Jesus, ma comunque abbastanza apprezzabile. The Death Of St. Jimmy inizia con una chitarra elettrica distorta strimpellata con molta calma, da menestrello ed accompagnata da una voce emozionale. Improvvisamente cambiano i ritmi, cè più potenza negli strumenti. In East 12st St. si arriva ad una semi-follia trascinante, da cantare in coro, allinsegna del divertissement. Nobody Likes You (primo verso di Letterbomb) è, a sorpresa, cantata dal bassista Mike. Ecco, non a caso non è un cantante: avrebbe fatto meglio a continuare a suonare, perché la sua voce non è il massimo, senza alcuna inflessione. Il collega batterista Trè riesce quasi a fare di peggio in RocknRoll Girlfriend, salvato solo da una ricca goliardia di sax, chitarra e la sua stessa batteria. Le sorti vengono ripristinate nellultima parte, Were Coming Home Again, prima allegra avventura di chitarra, poi marcia corale quasi interminabile, culminante nel Nobody Likes You del bassista. Non ce nera bisogno, sinceramente.
A prendersi la responsabilità di fare da epilogo è Whatsername. Cè solo da dire che è una traccia assolutamente prescindibile, non gioverà a nessuno ascoltarla. E solo un riempitivo per farla finita.
In conclusione, American Idiot è un cd deludente, con pochi alti e molti bassi, costituito da unappiccicosa mediocrità. Il fatto che un commerciante americano abbia rivendicato il demo di tutto lalbum, definendolo suo, potrebbe farci tirare un sospiro di sollievo.
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