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R Recensione

7,5/10

Julia Brown

To Be Close To You

C’è stato un tempo in cui passavo gran parte degli interminabili pomeriggi invernali scrivendo sul mio diario di scuola frasi estrapolate dalle canzoni dei R.E.M. o degli Skunk Anansie, facendo l’amore con immagini rubate ai settimanali scandalistici di mia nonna, sognando di diventare uno sportivo professionista e aspettando il Natale, la Pasqua e l’estate, solo per il gusto di vederli terminare e poi ricominciare l’attesa. L’alternativa era cercare di entrare nella mente contorta di quello stronzo di Aristotele, dare la colpa ad un errore di stampa quando l’ennesima disequazione non “riusciva” o maledire la prof. di latino, acida perché zitella, non c’è bisogno di dirlo (“É che non c’ha ‘na vita sessuale”, dicevamo in coro; ma chi di noi ce l’avesse, a quei tempi, rimane un mistero), che continuava ad affibbiarci versioni dell’ostico Tacito, piuttosto che del mite Cesare. Ecco, c’è stato un tempo in cui, avessi conosciuto i Julia Brown, sarebbero state loro le frasi che avrei scarabocchiato sul mio diario, aspettando che facesse sera, che arrivasse l’estate o che finisse l’adolescenza.

Julia Brown non è una folksinger, ma la band, originaria del Maryland, messa su dal giovane cantautore e polistrumentista Sam Ray, e questo To be close to you è il suo album di debutto (sebbene lo stesso Ray possa vantare l’esperienza di leader nel gruppo Teen Suicide), uscito qualche mese fa per Birdtapes, casa discografica (?) che ha all’attivo cinque o sei uscite (!), per lo più digitali.

La musica dei Julia Brown è una miscela - inconcludente e inconsistente - di indie pop, bedroom pop e lo-fi pop, sebbene la definizione di “bassa fedeltà” paia quasi un eufemismo, un riconoscimento di qualità di suono che il disco non può e non vuole vantare. Registrato su cassetta e ormai reperibile solo su formato digitale, l’album presenta otto brani - della durata media di due minuti, per un totale di circa un quarto d’ora - acerbi, selvaggi e ruvidi, ma, al contempo, delicatissimi, così ancorati a ricordi e piccoli momenti dell’adolescenza o della prima giovinezza (queste le parole di I’m falling in love, incantevole brano che inaugura la scaletta e si fa manifesto dell’album, nel suo svelare assenze e solitudini: Walking back to my car / I saw you standing by the wall / I wanted to ask your name / but I’m too shy and now I won’t see you again / If I was a different kind of guy / I’d write you a song with a hook that’s like / “Oh my god I’m falling in love”), da sembrare quasi dei bozzetti da cui Morrisey è partito per scrivere, poi, le sue storie.

Il suono è perennemente sporco, la voce di Ray sempre sul punto di spezzarsi; le chitarre tratteggiano, timide, due accordi elementari (ma stupefacenti per appeal melodico) e una viola fa capolino, di tanto in tanto, per ingentilire il tutto. A volte sembra di ascoltare il primo materiale, dimenticato in un cassetto perché troppo “primitivo”, di un Elliott Smith o quello di certi Sebadoh poco inclini al cazzeggio e molto all’autocommiserazione, dei Beat Happening in stato semicatatonico o, ancora, il primo, stralunato dischetto dei Pants Yell (band che avrebbe meritato tutta un’altra visibilità), Our horse call.

Preferire un brano ad un altro significherebbe fare un torto ad un lavoro che proprio nella sua omogeneità (e inscindibilità dei singoli episodi) recupera la sua forza costitutiva. Ognuno potrà trovare la canzone più vicina alla propria sensibilità nell’irresistibile circolarità melodica della trama chitarristica di Library o nel walzerino giocattoloso, profumato di whiskey, di Virginia, nella svogliata I was my own favorite tv show the summer my tv broke, col suo arrangiamento inventivo - e sorprendente, in considerazione degli standard del disco - di viola, violoncello, harmonium e glockenspiel o nel fragile intimismo lirico (I didn’t see you / I wanna be you / I wanna be like you / I took my clothes off / I put a wig on / I’ll never be like you / I’m signing your name / to be close to you / I ruined my veins / to be close to you), ancor prima che musicale, di quella dolorosa To be close to you che dà il titolo all'album.

Otto piccole gemme grezze, per tirare le somme, di urgente espressività e malinconica, ruvida bellezza; otto brani che, in chiaroscuro, si nutrono della mite poesia del quotidiano, sempre in bilico tra accettazione del dolore e speranzosa ingenuità. Un disco che dura un niente e lascia il segno, come quel primo bacio, dato più per curiosità che per piacere, come quello sguardo poggiato, furtivamente, sulla persona di cui ci siamo innamorati, ma che non sa nulla del nostro trasporto e mai lo saprà, proprio come tutte quelle cose “insignificanti” attraverso cui passa una buona parte della nostra stessa adolescenza.

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benoitbrisefer alle 14:40 del 23 settembre 2013 ha scritto:

Intrigante la recensione. Invoglia a saperne (e ascoltarne) di più e a tornare per esprimere giudizio e voto.

Però il malanimo contro Aristotele non mi va giù:

1) Altro che "stronzo"!!! E' un filosofo tollerante, moderato e assolutamente comprensivo delle debolezze umane, tutto il contrario del fanatico, rigido e totalitario Platone.

2) Come si può definire "contorta" la mente del più logico, razionale, consequenziale dei filosofi antichi? Il quale sapendo con chi avrebbe avuto a che fare pensò di intitolare "Metafisica" il suo manuale di metafisica, "Fisica" quello di fisica e

"Politica" quello relativa a questa disciplina. Più limpido e trasparente di così!!!!!

salvatore, autore, alle 15:47 del 23 settembre 2013 ha scritto:

Nessun malanimo contro Aristotele, ci mancherebbe. Anche a me piacciono le (poche) cose che ho letto di lui. E non ho nulla contro Tacito o contro le disequazioni. Solo che, a quei tempi, ritenevo più importanti, quindi più meritevoli del mio tempo, "Charlie Big Potato", migliorare il mio diritto e, per l'appunto, i settimanali di mia nonna

E' tutto dal punto di vista di un 15enne, quindi la predica dovresti farla a lui

Comunque, grazie per il passaggio, Benoit. Il disc(hett)o vale e spero possa piacerti

benoitbrisefer alle 16:17 del 23 settembre 2013 ha scritto:

Per carità nessuna predica. Il mio voleva essere un intervento semiserio. Un po' scherzoso e solo un po' a difesa di questo grande filosofo. D'altra parte c'era un po' anche di difesa della categoria a cui appartengo, ahité, gli insegnanti di storia e filosofia.... Complimenti per la rece e a risentirci presto fra queste pagine.

salvatore, autore, alle 18:21 del 23 settembre 2013 ha scritto:

Guarda che gliel'avrei fatta pure io una predica, oggi, a lui, come lui l'avrebbe fatta a me. E' il bello è che entrambi avremmo ragione a farla... Bella categoria quella degli insegnanti (categoria di cui potrei entrare a far parte anche io), soprattutto di materie umanistiche! Possono fare grandi cose per i ragazzi.

Ti aspetto e ti ringrazio per i complimenti

zagor alle 15:04 del 24 settembre 2013 ha scritto:

recensione bellissima, mi ha incuriosito.

salvatore, autore, alle 13:50 del 26 settembre 2013 ha scritto:

Grazie Zagor! Sappi, però, che io sono un "dylaniato" convinto

zagor alle 20:18 del 26 settembre 2013 ha scritto:

Aayaaaakk!!! L'unico che puo' competere con me è Tex!