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R Recensione

9/10

John Coltrane

My Favorite Things

Troppo spesso nel momento in cui si vuole recensire un acclamato capolavoro ci si trova di fronte a testi dal carattere poco più che scolastico e niente affatto giornalistico. La recensione si riduce ad un'espressione di reverenza nei confronti dell'artista (privato della sua umanità e divinizzato), a una descrizione e a una mera formalità: la recensione cessa di essere recensione e si fa biografia. Si finisce col divagare sul seguito della carriera dell'artista, gli album futuri che avrebbero risentito dell'influenza di quello recensito etc. etc. Onde evitare questo approccio "religioso" al disco (che finisce con lo svalutarlo, privandolo del suo carattere storico) cercherò di affrontarlo fingendo di essere un recensore del lontano (in questo caso) 1961 al suo approccio col disco appena uscito, quando non era ancora un capolavoro ma soltanto un nuovo disco come tutti gli altri. 

3 Aprile, 1961

Ebbene, John Coltrane ci riprova. Il prodigioso tenorsassofonista, da poco fuori dalla corte di sua maestà Miles Davis con lavori pregevoli quali Kind of Blue (Columbia, 1959) o 'Round About Midnight (Columbia, 1957) e forte di una robusta uscita relativamente recente, Giant Steps (Atlantic, 1959), mescola ancora una volta le carte sulla sua tavola, spingendoci stavolta in un vorticoso valzer dal retrogusto jazzato.Se i "passi da gigante" del disco sopra citato hanno fatto tremare la terra con sette vulcaniche composizioni personali, questa volta Coltrane decide di misurarsi faccia a faccia con la croce e la delizia del jazzista di ogni tempo: lo standard. Brani di una certa orecchiabilità, malleabili come ferro fuso e talmente pieghevoli da potersi adattare ad ogni arrangiamento e stile, dal cantato allo strumentale, dall'up-tempo alla ballata. Ecco perché reinterpretare uno standard è quanto di più diverso ci possa essere dall'eseguire una cover: lo spazio creativo negli arrangiamenti e nell'esecuzione è immensamente più ampio (quasi illimitato); in altre parole, un disco di standard non è necessariamente un LP di cover, ma anzi può essere originale e creativo (se non proprio rivoluzionario). Vi basti pensare alla toccante esecuzione al vibrafono di Milt Jackson del Modern Jazz Quartet in una classicheggiante versione di Over the Rainbow su quella gemma che corrisponde al nome di Fontessa (Atlantic, 1956).

Sotto questa stella dobbiamo inquadrare il nuovo lavoro di TraneMy Favorite Things (Atlantic, 1961). Tanto per iniziare, stile nuovo, gruppo nuovo: il leader si libera dei quartetti all-stars con cui aveva realizzato Giant Steps (di fatto in gran parte eredità dei migliori comprimari del suo ex-capo Miles Davis) per creare una band propria, formata da giovani speranze del jazz; band su cui vale la pena spendere due righe, visto che probabilmente non li conoscerete.Al piano troviamo un giovane pianista, McCoy Tyner (1) (il cui curriculum conta solo meno di un anno al fianco di Art Farmer) o Steve Davis al contrabbasso (addirittura alla sua prima esperienza con un grande nome). Il nome più d'esperienza lo troviamo dietro le pelli, Elvin Jones (2), già batterista con Charles Mingus Miles Davis. Le novità non finiscono qui: Coltrane per la prima volta (almeno su disco) imbraccia un sassofono soprano (3) nelle prime due tracce del lavoro, strumento caduto ormai in disuso dopo il tramonto del grande pioniere Sidney Bechet (4).

Quattro standard, quattro tentativi di creare un taglio netto col passato: Tyner apre le danze minaccioso. Danze è sicuramente il termine più adatto in quanto la title track, My Favorite Things, viene trasfigurata dal genio creativo di Trane e resa un vero e proprio valzer. La melodia del sassofono soprano, leggiadra e morbida, tratteggia come in un acquerello un paesaggio delicatissimo: questo è il vero punto forte di questo nuovo ensemble, la possibilità di modellare la musica come fosse cera, di piegarla ad ogni necessità e renderla talmente liquida, elastica e morbida da poter lasciare agli esecutori una libertà notevolissima proiettandoli verso una gamma di soluzioni melodiche e ritmiche potenzialmente illimitate, sicuramente figlie anche dal nuovo stile "modale" (fondato sui modi anziché sulle progressioni di accordi) inaugurato da Miles Davis insieme allo stesso Coltrane. Niente di più diverso dai complicatissimi intrecci in puro stile bop che ci deliziavano appena due anni fa su Giant Steps. Gli strumentisti fortunatamente non deludono: il drumming di Jones è preciso e lo swing non manca; Davis e Tyner dal canto loro portano ai massimi livelli l'uso percussivo del proprio strumento, persino nei momenti solisti (5). Poco è il bisogno di parlare di tutte le tracce (tra cui si fa notare una scatenata esecuzione di Summertime, dove la libertà musicale si spinge al punto da ricordare i nuovi maestri dell'avanguardia come Ornette Coleman e Cecil Taylor) (6) e tanto il bisogno di comunicare la mia sorpresa al lettore. Chiunque si aspetti un Giant Steps II ne rimarrà deluso, chiunque pensasse fosse impossibile migliorare un lavoro così perfetto ne sarà invece sorpreso. Se bissare Giant Steps sembrava impossibile, probabilmente bissare My Favorite Things lo sarà. Ai posteri l'ardua sentenza (7).

Note:

(1) McCoy Tyner sarebbe diventato il pianista di fiducia di Coltrane nel famoso "quartetto storico" con Elvin Jones e Jimmy Garrison e lo avrebbe accompagnato nei suoi maggiori capolavori.

(2) ^

(3) Nei successivi anni si sarebbe dibattuto a lungo su come Coltrane abbia iniziato a suonare questo strumento: Miles Davis avrebbe reclamato fino alla morte la paternità di quella scoperta asserendo di averlo regalato lui stesso a Coltrane; quest'ultimo al contrario riferisce di averlo già provato precedentemente.

(4) Con questo disco il sax soprano guadagnerà nuovi accoliti e notorietà (basti pensare al prodigio Steve Lacy).

(5) L'uso percussivo del pianoforte è tuttora ricordato come un marchio di fabbrica di McCoy Tyner.

(6) Nei seguenti anni Coltrane avrebbe confermato candidamente l'enorme influenza esercitata su di lui da Coleman. In un curioso aneddoto, Coltrane avrebbe mandato a Coleman un telegramma di ringraziamento per le lezioni impartitegli con allegati trenta dollari.

(7) Fortunatamente My Favorite Things sarebbe stato soltanto il primo di una lunga e fortunatissima serie di grandissimi lavori.

V Voti

Voto degli utenti: 8,9/10 in media su 16 voti.
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0,5
B-B-B 8,5/10
Cas 9/10
gramsci 9,5/10
Lelling 8,5/10
ThirdEye 9,5/10
Me3cury 9,5/10

C Commenti

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Paolo Nuzzi (ha votato 9 questo disco) alle 9:28 del 25 maggio 2015 ha scritto:

Bene bene bene, benvenuto e complimenti per la recensione ed il ripescaggio, parlare di Trane è sempre cosa buona e giusta. Disco essenziale per il passaggio dagli "Sheets of Sounds" al modale, preludio dei sommi capolavori futuri. Le coloriture di Tyner su "My Favorite Things" sono a dir poco celestiali. Non arriva al 10, perchè la rilettura di "Summertime" non mi ha mai entusiasmato, ma qui siamo comunque sul Parnaso della musica.

FrancescoB (ha votato 8,5 questo disco) alle 12:15 del 26 maggio 2015 ha scritto:

Disco di pregiatissima fattura, non era facile parlarne: bravo Michele. Il walzer salisburghese trasformato in una danza africana è fra le cose migliori che possano capitarvi nell'arco di tutta la vita. Nel contesto della discografia di Trane, amo di più soltanto gli alieni "A Love Supreme" e "Ascension".

fabfabfab (ha votato 9 questo disco) alle 18:45 del 28 maggio 2015 ha scritto:

bravissimo Michele.

Utente non più registrato alle 21:51 del primo giugno 2015 ha scritto:

My Favorite Things è un disco affascinante e per innovazione e bellezza rimane uno dei punti fermi della discografia di John Coltrane e del Jazz tutto.

Nel brano che dà il titolo al disco siamo dinanzi ad una “gigantesca” svolta linguistica, basata sulla logica modale; innegabile l’influenza che ha avuto su Coltrane l’aver partecipato l’anno precedente all’incisione di Kind of blue di Miles Davis.

Ma la vera novità, sta nello stupendo suono del sax soprano che regala emozioni profonde e misteriose e nella capacità di Coltrane di costruire un'improvvisazione che ha quasi il carattere di una spirale infinita ispirandosi alla musica orientale.

Il primo album nel quale Coltrane impiegò il sax soprano fu The Avant-Garde inciso pochi mesi prima.

Il brano diventerà un classico ed un appuntamento fisso nei concerti del sassofonista fino all'ultimo. Alcune versioni si possono trovare su Newport '63, Live at the Village Vanguard Again, Live in Japan (dove arriva a sfiorare l'ora di durata), The Olatunji Concert.

Altri brani-miracolo che Coltrane sottopone allo stesso tipo di trattamento sono Greensleeves da Africa Brass e Olè da Olè Coltrane.

Fondamentale l’apporto di McCoy Tyner che propone un uso marcato della percussività dello strumento, e il superlativo lavoro di Elvin Jones, senz'altro uno dei migliori batteristi di sempre.

My Favorite Things è una canzone a tempo di valzer composta da Rodgers e Hammerstein per il musical The Sound of Music - "Tutti insieme appassionatamente" - che ebbe una versione teatrale ed una cinematografica.

Mushu289 (ha votato 9 questo disco) alle 15:53 del 25 agosto 2015 ha scritto:

capolavoro, nient'altro da aggiungere

bart alle 10:48 del 29 agosto 2015 ha scritto:

Meraviglioso! È il suo disco più bello. Dopo "A Love Supreme" ovviamente!

FrancescoB (ha votato 8,5 questo disco) alle 11:52 del 30 agosto 2015 ha scritto:

Bart che mi dici di "Ascension"? Per me anche quella scheggia impazzita ha davvero pochi paragoni, e non solo nell'ambito della discografia di Trane

bart alle 12:05 del 30 agosto 2015 ha scritto:

Ascension è di più difficile ascolto. Devo riascoltarlo attentamente per dare un giudizio più esaustivo. Per ora ritengo quest'album il più bello di Coltrane. Tra tutti quelli classificabili ovviamente. A Love Supreme non può stare in nessuna classifica. È un mondo a parte.

FrancescoB (ha votato 8,5 questo disco) alle 12:32 del 30 agosto 2015 ha scritto:

Eh Ascension è una botta, ma quando ti entra dentro non ti molla più. Musica per il cielo o forse per l'inferno, un'orgia sonora impressionante, che però richiede una certa affinità con il caos.

bart alle 13:48 del 30 agosto 2015 ha scritto:

Anche Meditation non scherza. Secondo me è ancora più ostico.

FrancescoB (ha votato 8,5 questo disco) alle 16:02 del 30 agosto 2015 ha scritto:

Siamo lì. Expression pure non è esattamente soft-music, molto bello anche quello, così come Interstellar Space.

Però ecco forse in Ascension (paradossalmente), nonostante il caos, c'è una tensione drammatica di fondo quasi tangibile e unica per un disco del genere. Sembra veramente che i sassofoni escano a prenderti a sberle, e l'impatto è davvero traumatizzante, conosco molte persone che non riescono ad ascoltarlo per più di venti secondi

bart alle 16:04 del 31 agosto 2015 ha scritto:

Io invece sono riuscito nell'impresa di ascoltarlo per intero. Gli altri due che hai citato invece non li conosco, ma li ascolterò sicuramente. Trattandosi di free jazz sarà sicuramente un ascolto impegnativo.

FrancescoB (ha votato 8,5 questo disco) alle 16:52 del 31 agosto 2015 ha scritto:

Meritano, anche se il discorso è molto diverso da quello di Ascension. Expression ho provato maldestramente a recensirlo e mi riporto al mio scritto, Interstellar Space è un disco che non ascolto da tempo ma lo ricordo ostico, più razionale eppure scorbutico, vagamente indirizzato verso i territori dell'AACM, Mitchell e Braxton su tutti, ma sempre molto coltraniano

Bill74c27 alle 13:59 del 18 marzo 2018 ha scritto:

ascoltandolo, lo penso all'atto della stesura come un'apertura in un mondo (musicalmente parlando) che era agli esordi di un ricambio generazionale stilisticamente e concettualmente in divenire,con tutto quello che era stato prodotto ed ascoltato prima, diciamo così, la prima pietra di una nuova casa di un design che nessuno fino ad allora aveva ne pensato,ne concepito.... e Miles e compagnia bella copiarono....azzo se copiarono!

Utente non più registrat (ha votato 8 questo disco) alle 10:49 del 14 giugno 2020 ha scritto:

La sua fama lo precede.. occhio e croce si tratta del miglior album di cover della Storia. Un piccolo segreto: Giant Steps non mi ha mai detto granché.