R Recensione

10/10

Consorzio Suonatori Indipendenti

Linea Gotica

È inutile arrovellarsi in cerca di giuste parole per dare a chi legge una degna presentazione del gruppo di cui andremo a parlare. È un fatto che la parentesi CCCP Fedeli alla linea – Consorzio Suonatori Indipendenti costituisca senza ombra di dubbio una della pagine più belle della musica made in Italy. Nati dalle ceneri dei pionieri del punk comunista italiano, i Consorzio Suonatori Indipendenti (abbreviato C.S.I.), capitanato dagli emiliani Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni decisero di darci un taglio col passato e rivoluzionare il vecchio sound ruvido e giovanile dei CCCP per maturarne uno più armonico, levigato, all’apparenza più completo, senza rinunciare tuttavia a quel sapore indie che li contraddistinguevano come band alternativa.

Se i CCCP rappresentano la giovinezza, la rabbia, l’azione, la speranza di cambiare il mondo, il credo comunista, i C.S.I. sono la maturità, la rassegnazione, la disillusione, la meditazione, la contemplazione di una realtà politico-sociale in caduta libera. Non è un caso che tale evoluzione abbia avuto luogo dopo il crollo del muro di Berlino e il dissolvimento del regime comunista sovietico. Nel 1996, dopo un ottimo album in studio (Ko del mondo) in cui già comparivano, seppur in modo disomogeneo e talvolta solo percepibile, le tematiche di fondo, gli scopi ultimi dell’opera artistica dei C.S.I., Ferretti e company sfornano non solo il loro lavoro più bello ma anche uno dei migliori dischi di tutta la musica italiana: Linea Gotica non ha niente da invidiare a Crueza de ma o a La Voce del Padrone.

Dopo un primo ascolto si possono già individuare alcuni caratteri generali dell’album che, se compresi a pieno, potrebbero costituire delle chiavi di lettura e, talora, a discrezione di chi ascolta, anche i punti di forza di un’opera che si serve della musica come strumento di indagine interiore per sviscerare la natura umana non solo negli angoli più intimi e bui di ognuno di noi, ma anche nelle sue dimensioni etiche, civili e religiose: -La visione decadente che i C.S.I. hanno del mondo moderno il quale appare come un organismo malato, irrancidito, in via di putrefazione (a tal proposito ascoltare Del Mondo tratto dall’album precedente) a causa del cancro inestirpabile di una società animata dal caos, dal consumismo forsennato, dall’amoralità dilagante.

L’espressione più calzante di questa pseudo-civiltà non può che essere, come affermano gli stessi artisti, il suono dissacratore, distruttivo e frastornante della chitarra elettrica. -L’alone di religiosità che pervade tutto l’album e la costante, disperata “tensione verso l’alto”, la ricerca di una luce, di una redenzione, di un appiglio al quale aggrapparsi per non sprofondare nello stesso baratro oscuro che ha inghiottito la nostra epoca. Tale contrapposizione è incarnata dalla dialettica fra le due anime della band, ossia quella delle chitarre elettriche e quella della controparte armonica (voce, coro, piano, chitarra acustica).

Come spirito e materia, creazione e distruzione, ordine e caos, umano e divino, luce e buio, i due elementi giocano, si scontrano, si fondono in un intreccio di distorsioni e melodie nel vivido affanno della sintesi perfetta. -I testi di un Giovanni Lindo Ferretti in stato di grazia che dapprima, come un filosofo e un sacerdote del suo tempo, contempla, soppesa e poi, come un abile pittore che usa la penna al posto del pennello, da una forma a sensazioni, a stati d’animo, a spazi e tempi passati attraverso la potenza suggestiva delle parole (cercando un paragone letterario non possono che venirmi in mente le analogie poetiche di Ungaretti). Ma andiamo a toccare con mano le dieci perle che compongono l’album. Senza alcun preavviso una voce e un arpeggio di chitarra squarciano il silenzio, catapultando l’ascoltatore non troppo lontano indietro nel tempo, in un altro spazio: è il crepuscolo di un giorno qualunque dopo il 2 aprile 1992 e la città che abbiamo davanti è Sarajevo, colta nel brivido della quiete prima della tempesta, della preghiera prima dell’attacco incombente. Attacco che non tarda ad arrivare, come testimoniano violini e chitarra che con prepotenza irrompono anch’essi sulla scena, non appena concluso il preludio della voce narrante. Tutto questo sono i primi 20 secondi di Cupe Vampe.

L’inizio è folgorante, ma la canzone prosegue. Il narratore continua la sua storia di lacrime e distruzione con apparente distacco, forte della potenza icastica delle parole, evocando immagini sacrileghe di libri che bruciano, gli stessi che per millenni sono stati custodi di civiltà e bellezza. Con essi brucia l’umanità. Solo sul finale la voce si abbandona a una feroce invettiva (“bella la vita a Sarajevo città, questa è la favola della viltà”) che sfocia in un’esplosione di distorsioni. Inequivocabile gioiello. Subito segue l’oscuro riff di Sogni e Sintomi con la voce di Ferretti in perlustrazione interiore alla ricerca di chissà quale verità dentro di sé. L’inquietudine è trafitta dal dubbio di aver trovato una risposta (“che i sogni siano sintomi?”). E ti vengo a cercare è un’originalissima riproposizione di un brano firmato Battiato in cui la venatura religiosa disseminata in tutto l’album raggiunge uno dei suoi apici (insieme a L’ora delle tentazioni).

Brano di intensità unica e travolgente, diventa ancora più sbalorditivo al notare come la chitarra di Canali riesca ad accompagnare la preghiera del cantante piuttosto che turbarla. Vagiti elettrici introducono Esco in cui un astrusa lirica sembra dare la sensazione dello scorrere del tempo verso un’epoca dannata (“Qui la luce si ritrae e l’aria è satura dell’eco di lamenti”), segno evidente della sfiducia degli autori. Stesse finalità emergono in Blu con esiti ancora più apocalittici (“ho visto un’alba blu”) . Nella traccia tutti gli strumenti coinvolti portano al parossismo i già alti livelli del dialogo musicale. Magnifica e terribile. Si apre con le parole dello storico partigiano Beppe Fenoglio Linea Gotica, la canzone che dà il titolo all’album. Un riff dal gusto quasi mefistofelico vien rischiarandosi e fa da sfondo alla voce di Ferretti, intenta a dipingere scenari di battaglia (“geniali dilettanti, in selvaggia parata”) e ad invocare valori ormai perduti, appartenuti a coloro che sfidarono la morte per la purezza di un ideale (“occorre essere attenti per essere padroni di sé stessi”). La Resistenza simboleggia probabilmente per i C.S.I., l’ultima nobile, grande prova dell’umanità prima dell’aborrita mercificazione della vita. A tal proposito sono citati leggendari partigiani con i loro nomi in codice (vedi Comandante Diavolo, Monaco Ubbidiente). Altro Capolavoro.

Millenni è un feroce attacco alla Chiesa come istituzione storica e alla sua ingerenza negativa nella storia dell’uomo. Tuttavia è opportuno non riconoscere nella canzone un rifiuto né della Chiesa e della sua essenza originaria, né tantomeno del Cristianesimo del quale Ferretti si è dichiarato credente. La fede è anche il tema del brano successivo. Arriva il turno de L’ora delle tentazioni, di trascendentale bellezza. Come lascia intendere il titolo la canzone esprime il contrasto intimo e profondo di un qualsiasi uomo probo (e di qualsiasi essere umano) posto davanti alle diaboliche carezze di un facile compromesso. È lo stesso dissidio con il quale noi tutti dobbiamo confrontarci ogni giorno, nel lavoro, nelle relazioni personali, nella famiglia, nelle piccole cose. Quante volte ci siamo trovati davanti al bivio? Quanto volte abbiamo dovuto scegliere fra giusto e sbagliato, onestà e cupidigia? Quante volte siamo stati chiamati a sacrificarci? E quante volte abbiamo vacillato? La condizione umana viene qua rivelata, messa a nudo e compatita.

La ricerca interiore culmina con una disperata preghiera, protesa verso un qualcosa di irraggiungibile, e proprio quando la speranza sta per spegnersi ecco che qualcosa accade… Difficile a dirsi, ma forse è il momento più toccante dell’album. Meno interessante, ma comunque non da scartare, è invece la seguente Io e Tancredi, un elogio dell’animale preferito dalla voce del gruppo. Irata torna invece a raggiungere i vertici musicali toccati dalle canzoni precedenti e si ricollega, in qualche modo al tema della Resistenza: sembra quasi il mantra di un partigiano che, consapevole di ciò a cui andrà incontro, assapora gli ultimi istanti di vita, lentamente, col dovuto tempo, prima di sfidare la sua ora, quella decisiva, quella che dà un senso a tutto il resto (“oggi è domenica domani si muore, oggi mi vesto di seta e candore”). L’album si chiude con le parole di Pasolini.

Ciò che rimane dell’ascoltatore è una creatura stordita, confusa ma rinnovata dal “rapimento mistico e sensuale” di cotanta bellezza.

V Voti

Voto degli utenti: 9,2/10 in media su 20 voti.
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retikov 10/10
giank 9/10
Cas 9/10
wascimo 10/10
Carminetb 9,5/10
cesare 9/10
Steven 7,5/10
ThirdEye 10/10
loson 7/10
inter1964 8,5/10

C Commenti

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nebraska82 (ha votato 9 questo disco) alle 20:20 del 16 maggio 2012 ha scritto:

il migliore dei CSI senza discussioni, vero e proprio baluardo del rock italico anni 90. peccato che ferretti dalla linea gotica sia passato oltretevere. recensione eccellente.

wascimo, autore, (ha votato 10 questo disco) alle 0:17 del 17 maggio 2012 ha scritto:

RE:

già, il voltagabbana di Ferretti è stato un colpo al cuore

tramblogy alle 22:23 del 16 maggio 2012 ha scritto:

Bello si ma bello peso...

Ti vengo a cercare da baura...va bhe..battiato palle quadre!

Marco_Biasio (ha votato 10 questo disco) alle 17:23 del 17 maggio 2012 ha scritto:

Disco che è una pietra miliare sotto ogni aspetti, spaventoso. La recensione non è male, ma sulla definizione di "punk comunista" per i CCCP siamo destinati a scornarci, mi sa.

Cas (ha votato 9 questo disco) alle 12:33 del 19 maggio 2012 ha scritto:

Ferretti ci regala il punto più alto raggiunto dai suoi CSI. Ho sempre notato come ci sia una grandissima continuità tra il periodo CCCP e quello successivo. Cambia la forma, si quietano le asperità punk, ma la sostanza rimane la stessa. Uno sguardo "saggio" e mistico sui fatti cantati, alla ricerca dei significati universali, fuori da ogni retorica. Una scrittura coerente (ricordate: "non fate di me un megafono, mi incepperò") e mai interessata ad ammiccare al senso comune o a ritagliarsi il ruolo del capopopolo (filosovietico nel periodo peggiore per l'urss e cattolico oltranzista nel periodo peggiore -a livello di tenuta della sua visione etica- per la Chiesa cattolica). Qui sta l'integrità di Ferretti e la validità della sua opera artistica, soviet o non soviet

skyreader (ha votato 9 questo disco) alle 12:23 del primo luglio 2012 ha scritto:

Disco che trascende tradizioni... in grado di essere profondamente italiano e allo stesso tempo profondamente europeo. Storia e storie si incontrano in una musica cruda, poetica, distorta.

Carminetb (ha votato 9,5 questo disco) alle 13:41 del 2 novembre 2012 ha scritto:

Pietra miliare della musica italiana.Poche parole per poterlo descrivere....valutazione 9.5

dissonante (ha votato 10 questo disco) alle 8:25 del 13 ottobre 2013 ha scritto:

Senza dubbio il capolavoro dei CSI e uno dei momenti più alti di tutta la produzione musicale europea. Mi riferisco in particolare a brani quali "Blu", "Sogni e sintomi", "Irata" e, soprattutto, "Esco". Allorché Ferretti scandisce "è l'instabilità che ci fa saldi ormai negli sradicamenti quotidiani", che condensano un vero programma di vita per il terzo millennio.

Mattia Linea (ha votato 10 questo disco) alle 17:08 del 14 agosto 2014 ha scritto:

Capolavoro. Capolavoro. Capolavoro. Più lo si ascolta più si capisce la genialità, la profondità e la maestria di questo gruppo. Capolavoro. Capolavoro. Capolavoro.

rubenmarza (ha votato 10 questo disco) alle 23:23 del 21 novembre 2014 ha scritto:

bellissimo. nessun libro di storia arriverà mai a farti vivere la guerra balcanica come l'incubo di "cupe vampe". tremendamente attuale.

"occhio cecchino etnico assassino"

shadowplay72 alle 1:03 del 27 novembre 2017 ha scritto:

geniali,stupendi.album fantastico!