Afterhours
I Milanesi Ammazzano Il Sabato
Quando si parla degli Afterhours è facile scadere in un elogio talmente appassionato da apparire acritico e esagerato. In realtà la band guidata da Manuel Agnelli questi elogi se li merita tutti, per il fatto di essere il portabandiera più importante del rock nostrano degli ultimi vent’anni. Tanti ne sono passati infatti dalla formazione del gruppo milanese, capace di una produzione straordinaria che parte dai dischi “inglesi” During Christine sleep’s (1990), Cocaine Head (1991), Pop kills your soul (1993) per approdare al cantato italiano con il sublime Germi, vero spartiacque del panorama 90s in grado di indicare una strada percorribile al rock alternative italiano.
Poi Hai paura del buio? (1997), capolavoro di calibro internazionale e incredibile mosaico di stili e generi capace di creare hits storiche come Male di miele, Dea, Lasciami leccare l’adrenalina nonché inni generazionali come Sui giovani d’oggi ci scatarro su. Non è per sempre (1999) e Quello che non c’è (2002) portavano rispettivamente a una svolta pop e una heavy-psichedelica sempre ad altissimi livelli,giustificando ampiamente lo splendido doppio live Siam tre piccoli porcellini (2001), capace di catturare la potenza sonora di un’autentica band da palco. Ballate per piccole iene (2005) era forse il disco più plumbeo e oscuro e veniva macchiato solo dalla non entusiasmante traduzione inglese Ballads for little hyenas (2006), tentativo un poco incolore di sfondare definitivamente sui mercati esteri.
I milanesi ammazzano il sabato segna diverse novità rispetto alla produzione precedente: innanzitutto c’è da registrare il passaggio dalla Mescal alla major Universal, cosa che già di per sé potrebbe far storcere il naso a qualcuno e che si spiega probabilmente con la ricerca di un maggiore successo internazionale. C’è poi da segnalare il lungo corteo di ospiti più o meno famosi come Stef Kamil Carlens (dEUS, Zita Swoon), Greg Dulli (Twilight Singers, Gutter Twins), Cesare Malfatti (La Crus, Amour Fou), Brian Ritchie (Violent Femmes) e John Parish (che oltre a suonare coproduce parte dell'album).
Nonostante l’apparenza un po’ raccogliticcia data dal numero molto elevato di collaboratori I milanesi ammazzano il sabato è un disco che nella sua forma trova una certa omogeneità soprattutto a livello testuale. Non che la musica non sia all’altezza ma l’impressione è che l’aspetto davvero saliente sia la ricchezza verbale proferita da Agnelli. I suoni restano apprezzabili nel loro spaziare notevolmente nel vario repertorio musicale del gruppo, passando dai ritmi soffusi carichi di accelerazioni modello “Ballate” (Tarantella all’inazione) a brani più classici periodo “Germi” (i chitarroni robusti e i numerosi delay di Pochi istanti nella lavatrice) o “Hai paura del buio?” (la grande intensità poetica e musicale di Musa di nessuno).
Gli spartiti sono insomma l’ennesima dimostrazione della capacità di spaziare tra ritmi incalzanti (la roboante Tema: la mia città) e frastagliati (Neppure carne da cannone per Dio, Tutto domani) e bozzetti di psicologia umana in salsa semi-acustica (il singolo I milanesi ammazzano il sabato, l’elettropop da camera di Dove si va da qui) fino a riffoni blues-rock talmente infilzanti da apparire quasi soft-stoner (Tutti gli uomini del presidente, È dura essere Silvan) notando comunque una grande apertura a cori e arrangiamenti vari (Naufragio sull’isola del tesoro, Riprendere Berlino) in un’ottica che strizza l’occhio al pubblico in maniera intelligente. Orchi e streghe sono soli chiude il disco in maniera appassionata con il suo stampo songwriter fiabesco e quella chitarra tenera alla Neil Young.
Dicevamo però che l’aspetto più interessante del disco è senz’altro l’analisi testuale: numerosi sono i richiami al sesso sparsi qua e là (“voglio scoparti fino a farti piangere”; “il tuo seno caldo su di me”; “mi fai godere quando godi tu, dai piccina mostrami chi sei”; il “culo” più volte citato in Tarantella all’inazione), ma lungi dall’essere una tematica fine a sé stessa buttata lì per infastidire i benpensanti il sesso e l’amore appaiono piuttosto un modo per evadere dai problemi quotidiani dell’individuo contemporaneo, siano essi esistenziali personali o frustrazioni morali di più largo corso. Emerge l’immagine di un rapporto sentimentale tormentato che si trova ad affrontare l’allargamento della famiglia (“questo bambino ci salverà”; “tu che questo figlio non lo vuoi e io non so”; “musa un po’ puttana madre della mia bambina”; la candida fragilità espressa in Orchi e streghe sono soli: “il giorno in cui sei nata mi stringevi a te con calma come a chiedermi di non aver paura”). Si fa largo soprattutto la feroce ironia di Agnelli verso una società ormai moralmente allo sbando in balia di un mediocre utilitarismo egocentrico (È solo febbre) trascinando in una rievocazione nostalgica dal sapore ambiguo (Riprendere Berlino è una canzone politica?).
Affiora anche la sensazione di essere sempre più fuori posto (“sono stanco di invecchiare, sostenere ciò che muore”, “la mia città mi insegna a vivere da pipistrelli chiusi in scatole”) lasciando una domanda assillante senza risposta (“Chi salverà la mia città?”). Ma la risposta in realtà sembrerebbe essere proprio un ritorno all’intimità con il proprio partner, unico sicuro ancoraggio per uscire dalla tempesta. A sigillo di ciò vi è la splendida cavalcata di Pochi istanti nella lavatrice, poco romantica, ma a suo modo un’estenuata dichiarazione della necessità dell’amore. Un amore incompleto forse, spesso masochista e malsano, talvolta istintivo e passionale, tal’altra l’unico soffice riparo dalle intemperie della vita. Ma pur sempre di amore si parla.
I milanesi ammazzano il sabato non è un album immediato e la mancanza di singoli d’impatto potrebbe indebolirlo ad un ascolto superficiale. Quando però si riesce a penetrare il suo mondo caustico e nervoso non si può non rimanerne ammaliati.
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