Franco Battiato
La Voce del Padrone
Gli anni 80, appena passati alla storia come un trentennio fa, vengono per chissà quale ragione o forzatura etichettati come il decennio dell'edonismo, della futilità e della leggerezza, come se i Duran Duran e chi per loro siano paragonabili alle robe innominabili che infestano di giorno MTV e le radio odierne, come se la buona musica si fosse fermata qualche anno prima.
Per contro, in realtà in questi famigerati 80's possiamo riconoscere l'inizio (anzi possiamo ben datarlo a partire dal 1977) della cristallizzazione di certo pubblico e certa critica, che ha dato il là al ritornello "non più come una volta" che tuttora rimbomba anche fra quelli che dovrebbero essere fra gli ascoltatori più attenti.
E quindi dove sta l'errore?
L'errore fondamentale sta nel non individuare il cambiamento o meglio lasciarlo passare come peggioramento (i famosi nostalgici proggaroli) e bollare la fine o comunque la graduale e notevole diminuzione della musica impegnata politicamente come sintomo del decadimento di valori, come se sventolare una bandiera colorata di qualsivoglia tonalità fosse automaticamente un simbolo di qualità o renda migliore un uomo.
Perchè negli anni 80 il cantautorato italiano cominciava a conoscere una fase di crisi o di stanca e l'impegno politico nella canzone d'autore avvertiva preoccupanti scricchiolii sia per quanto concerneva la qualità, sia per quanto concerneva il successo nei confronti del pubblico.
Quale migliore brano se non uno intitolato Bandiera Bianca poteva rappresentare questo periodo, sino a diventarne un inno?
In effetti questa atmosfera sprezzante e dissacratoria, colma di ironia e autoironia era già presente nel Battiato che man mano si era allontanato dallo sperimentalista avanguardista degli esordi e da precedenti simpatie prog, ma con La Voce Del Padrone raggiunge il culmine di questo percorso - partito col precedente Patriots - di avvicinamento verso il pop che lui sporca in maniera del tutto personale, tanto da non essere facilmente collocabile in qualche altro filone a lui contemporaneo, pur riconoscendone all'interno influenze molto più new wave (dalle chitarre ai synths) che non prog o di derivazione cantautorale, visto che - come detto in precedenza - di questi due generi, Battiato, in questo mirabile capolavoro si pone in totale contrapposizione, tanto da venire etichettato in maniera vergognosa da qualche sinistroide ottuso come simpatizzante di destra.
Ma se si pensa che stessa sorte avvenne con Battisti, allora avrete già la vostra risposta.
Album che supera ogni record di popolarità e vendita, tanto da essere il primo italiano a superare il milione di copie, La Voce Del Padrone è anche la miglior risposta qualitativa alla cecità di chi degli anni 80 ha il ricordo di decennio vanesio e superficiale.
Ma il suo formidabile successo si spiega anche con la straordinaria portata dei singoli che sono le frecce di questa altrettanto straordinaria faretra.
Si parte con le atmosfere da campi elisi di Summer On A Solitary Beach, anatema di una fuga della città verso paradisi di spiagge solitarie, sottolineate da un ritornello che ti si infila delicatamente in testa senza mai venirne fuori, un cantato soffuso quasi sussurrato e un ritmo irresistibile, per poi proseguire con l'assalto che non risparmia nessuno di Bandiera Bianca al grido di "per fortuna il mio razzismo non mi fa guardare/ quei programmi demenziali con tribune elettorali" e il controcanto col megafono che scandisce quello che è ormai assunto a inno del nichilismo sbeffeggiante all'impegno politico e alla società contemporanea, mentre dal punto di vista strettamente musicale possiamo notare una perfetta sincronia col brano che lo precede, anche se qui il ritmo si fa più sincopato e il cantato più ossessivo e incessante, appena decelerato dal finale coi famosi "minima moralia" e la citazione di The End dei Doors.
Atmosfere più idilliache le troviamo ne Gli Uccelli, dove il sarcasmo e l'ironia lasciano spazio a un pezzo decisamente più poetico che si avvicina maggiormente al primo brano dell'album sia come testo che come struttura musicale, struttura dalle forti tinte sinestetiche e la cui melodia, impreziosita da arrangiamenti e da una linea armonica impeccabile, ci trasporta nei cieli più alti, dove possiamo udire il suono del volo e il battito delle ali dei pennuti decantati in questo autentico gioiello.
Cuccurucucù è invece una sorta di collage dove si intersecano i ricordi giovanili dell'artista catanese che miete in un solo pezzo una miriade di citazioni, da Caetano Veloso sino ai Beatles, una folle genialata che solo alla illuminata mente del giovane Battiato del tempo sarebbe potuto venire in mente.
In Segnali Di Vita scorgiamo invece influenze più wave sporcate il tanto che basta da qualche sprizzata orientale, evidenti soprattutto nel ritornello e nello stile del cantato, mentre le liriche vertono più sul metafisico, un'anticipazione delle future produzioni del musicista siciliano che saranno di lì a molti anni a venire.
Ma il capolavoro nel capolavoro non può che essere Centro Di Gravità Permanente, altra preminente riflessione con toni sarcastici sulla contemporaneità e sul desiderio di fuga dalla realtà, alla ricerca di un equilibrio interiore, con il testo frutto di un cut-up nel quale spiccano acidi versi come "non sopporto la musica finto rock la new italiana il free-jazz punk inglese/ neanche la nera africana". E il tutto viene sottolineato da un vorticoso e trascinante ritmo che viene scandito velocemente dal cantato isterico dell'artista catanese.
Chiude l'album la delicata e sensuale Sentimiento Nuevo, un pezzo che condensa atmosfere erotiche ed è straordinariamente nobilitato dalla presenza di musicisti - come nel resto del lavoro, tra l'altro - come Alberto Radius, il cui raffinato e inconfondibile stile di suonare la chitarra viene qui ancora più esaltato da rimandi tipicamente wave e paragonabile senza timore di esserne smentiti all'Adrian Belew di Lodger, e al suo compare di merenda nei King Crimson, niente popodimeno che mr. Robert Fripp, negli episodi più isterici che melodici dell'intero spartito degli arrangiamenti.
Senza tralasciare il certosino e impeccabile lavoro di arrangiamenti che è spettato a Giusto Pio, maestro della precisione, dell'armonia e dell'equilibrio melodico che regna sovrano senza mai strafare in codesto album.
Un album che a quasi trent'anni dalla sua uscita non ha perso minimamente spessore e le cui hit continuamo a rimbombare nei ricordi dei meno giovani e a essere caricate negli Ipod dei più giovani.
E per una volta possiamo andarne orgogliosi.
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