V Video

R Recensione

7,5/10

Giorgio Canali e Rossofuoco

Undici canzoni di merda con la pioggia dentro

Nel torpore del panorama rock italiano e del nuovo “finto” indie, dove di nuovo e di indie c’è poco o niente, Giorgio Canali prova a dare una scossa con il suo nuovo lavoro, un disco crudo e graffiante sia nei suoni che nei testi. Il cantautore rock romagnolo parte da dove aveva chiuso il precedente lavoro di brani inediti, citando nel titolo una frase di “Orfani dei cieli”, brano che appunto chiudeva “Rojo” (2011). E la pioggia citata è senza dubbio uno degli elementi centrali del disco, che ricorre praticamente quasi in tutti i brani. Una pioggia che non è solo evento meteorico, ma anche stato dell’anima, quasi una condizione esistenziale. Una pioggia purificatrice, ma anche una pioggia distruttrice. Sicuramente un elemento carico di simbolismo e dai molti significati, che Canali utilizza al meglio, senza nascondere illustri precedenti, dalla dylaniana “Hard Rain” alla Pioggia nel pineto di D’Annunzio.

Una pioggia invocata a spazzare via i tanti mali della nostra società: “Piove, finalmente piove” è un rock tirato con una grande melodia che ti si appiccica subito addosso. Qui Canali invoca la pioggia per fare pulizia di tutta una serie di nefandezze del nostro paese, elencate con precisione (segreti di stato, riforme anticostituzionali, la tv delle vite in diretta). E’ la stessa pioggia che troviamo in “Danza della pioggia e del fuoco”, un rock potente con un testo splendido. In “Undici” l’autore dipinge un paese in mano agli ignoranti, alla gente “con quattro g e un’ignoranza da medioevo”. Gente che non tace mai, e che in “Emilia parallela” (citazione evidente dei CCCP) è paragonata ad un’invasione di cicale, “che ripetono a memoria ogni cagata più banale”. Un brano dall’approccio punk per una fotografia corrosiva della nostra società, popolata “di gente che continuamente mastica, un’invasione di locuste, gente felice abituata ad ingurgitare merda”. La stessa “gente” che ritroviamo in “Radioattività”, con le sue letali chiacchiere da bar (“parlano del meno e del niente”). Quello che emerge è un paese popolato di “piccoli schiavi che guardano passare invidiosi e ammirati, i loro piccoli padroni rombanti sulle loro Maserati”, e dove “i cani bianchi ringhiano contro cani neri”. Un brano dal forte impatto, che cresce di intensità nel suo svolgersi. Un vero e proprio atto d’accusa della nostra società e una visione pessimistica del futuro, che in “Mille non più di mille”, altro brano dall’approccio punk rock, arriva a prefigurare la fine della nostra civiltà (“mille imbecilli che applaudono un altro imbecille, mille carri armati mille inutili bandiere, mille scafisti mille morti annegati”).

A fare da contraltare a tutta questa rabbia, troviamo nel disco altre canzoni più intime e personali,  in cui Canali si racconta a cuore aperto, come nella lenta e intima ballad “Messaggi a nessuno” (“mostrerò al resto del mondo i miei lividi, ho finito le lacrime”), e in “Estate”. In “Aria fredda del nord” i suoni rock si stemperano in un brano dall’andamento western, che ci offre una visione realistica della condizione umana, in cui la ruggine non dorme mai, e niente cambia mai (“gente affamate di slogan da ripetere fino alla noia, ordine e pulizia, carità xenofobia e stupidità”). Una visione, quella di Canali, che sta tra il pessimismo e la presa d’atto della realtà che lo circonda, dove, anche quando sembra apparire un velo di speranza nel futuro, come nella rock ballad “Fuochi supplementari”, un mondo migliore, se c’è, è da qualche altra parte (“e non so nemmeno che giorno è, ma sono sicuro che sarà peggio di ieri, ecco vedi c’è il sole, e piove sui miei pensieri, forse un mondo migliore c’è, ma di sicuro è da qualche altra parte, vivere felici e facile, basta non essere me”).

Il disco si chiude con una richiesta d’aiuto: “Mandate bostik” è un lento sostenuto solo da chitarra elettrica e armonica, in cui Canali invita a mandare bostik per riattaccare i pezzi di se stesso, e forse anche della società. Un brano toccante, una grande chiusura per un disco splendido. Un disco che forse non dice niente di nuovo sullo stato del rock italiano, ma visto che dai ventenni non arrivano sfolgoranti novità, teniamoci stretto questo punk rocker sessantenne che ha ancora voglia di tirare calci al mondo.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.