Marlene Kuntz
Ricoveri Virtuali e Sexy Solitudini
Una biscia che morbida striscia sulle lamiere. Non cantavano esattamente così nel 96 i Marlene Kuntz, è una rivisitazione forzata che mi perdoneranno, e che adopero per descrivere, in unistantanea, il nuovo album della band cuneese. A ventanni di distanza dal loro primo demo, il quale al di là di ogni ragionevole dubbio segnò lentrata in scena di una delle realtà più importanti della storia del rock (in) italiano, e a tre dallultimo controverso Uno, pubblicano oggi Ricoveri Virtuali e Sexy Solitudini, titolo lungo, impacciato, ma efficace nel tirare le somme di un lavoro che abbandona lermetismo del passato prossimo per giocare a carte scoperte.
Pane al pane e vino al vino dunque: è un disco sorprendente. Nel senso che non te laspettavi, non più, una cosa così. Riff sporchissimi, giri di basso allucinanti, linee vocali viscerali, e una tale presuntuosa ficcante decisione nei testi che senza tanti giri di parole arrivano al punto e picchiano duro. Un ritorno alle origini, sentenziavano indiscrezioni già prima delluscita. Non proprio, secondo me, perché un conto è lurgenza selvaggia degli esordi, un altro è lo sfogo maturo di chi tante ne ha viste, date e ricevute, e per molti versi non ne può più. Lontani, forse da sempre, dallhype che ammanta di sicurezze certa scena indiependente italiana, i nostri sputano fuori qualcosa di molto vicino a un concept-album, trattando a muso duro temi come lidentità perduta della nostra generazione e il torpore culturale che anestetizza le coscienze al limite della morte. E lo fanno con una sincerità che sconvolge, con lorgoglio di chi è impavido, ma solo (Mi sentite? Sto gridando da un pezzo e no, non mi sentite!).
Egregia, anche nei pezzi più atmosferici, la produzione di Howie B, dopo la prova in chiaroscuro nel side-project Beautiful, ed encomiabile la bravura dei singoli musicisti coinvolti (oltre ai tre Marlene Godano Tesio e Bergia, Lagash al basso e Davide Arneodo a violino e tastiere), che restituiscono limpressione di una coesione e un piacere nel suonare assieme che non si percepiva da tempo.
Ricovero Virtuale in apertura, un pezzo schietto come pochi sullabuso del download musicale illegale, sembrerebbe tronfia se non fosse semplicemente onesta, e non a caso procede sporcata e grezza sino al finale in hi-fi. Orizzonti, tesa e ipnotica, ha un tiro fantastico, mentre Io e Me, la favorita del sottoscritto, corteggia il post-rock, cupissima col suo basso killer e il parossismo finale rumoroso e urlato dei bei tempi. LArtista è sottile e poetica prima del ritorno frenetico alla vita reale, Vivo è canto onirico prima di divenire declamare furioso. E un altro tema ricorrente del disco, la presa di coscienza improvvisa, il risveglio, descritto e affrontato con repentine esacerbazioni nei testi e nei suoni.
Non mancano i momenti più introspettivi, dal vellutato singolo Paolo Anima Salva, che racconta la solitudine del giovane che non si vuole omologare, con tanto di citazione di De Andrè, sino alla nostalgia immobile della già classica ballata finale Scatti, chiusura poetica e immaginifica nel vero senso della parola. Prescindibili invece Oasi e Un Piacere Speciale, insieme allabuso abbastanza gratuito di coretti daccompagnamento disseminati regolarmente allinterno di alcuni brani. Ruffiana o meno, la sfacciataggine sboccata di Pornorima è invece una gran lezione di stile rivolta a tutti quelli ebefrenici fighetti dellOlimpo indie-rock (non avrei saputo usare parole migliori), pronti a puntare il dito contro pezzi e dischi come questo, mentre gira sul loro ipod Fuck You Like An Animal dei Nine Inch Nails, citati a fine brano. E allora in chiusura di recensione, per i buoni intenditori, cito anchio Pornorima, e mi congedo con un sorriso amaro, un monito o, forse, una speranza: Che pensino a scopare i farisei dellindie-rock, le anti-sbrodoline snob, gli alternativi a pacchi e stock.
Avercene.
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