Built To Spill
Perfect From Now On
La perfezione… un concetto tanto ampio e rarefatto da essere quasi impercettibile. Materia di difficile trattazione quando si ha a che fare con i freddi e sterili numeri, che diventa esercizio di stile (nelle ipotesi migliori) quando si gioca con le parole; per trasformarsi in pura alchimia quando si trasmutano i propri pensieri, cercando di estrarli dalla propria mente per bloccarli nel tempo e nello spazio attraverso una qualsivoglia arte, che ne faccia un monolite, un totem, o semplicemente una testimonianza a futura memoria. Questo è il punto di partenza (e di arrivo) che si prefigge Doug Martsch per la sua prima opera discografica su major (terza sotto l’acronimo Built To Spill progetto che segue le esperienze con State Of Confusion e Treepeople), che già dalla partenza tenta l’impossibile, raccontando di Randy che ha descritto l’eternità, esercizio tanto affascinante quanto utopico, di “metafisicizzare” gli schemi della forma-canzone esplorati nei lavori precedenti… una deriva Youngiana nell’esplorare le illimitate possibilità di espressione proprie di composizioni architettate per basso, chitarra, batteria e voce.
Un percorso di ricerca interiore esiziale, che si dipana nello splendore armonioso di “I Would Hurt A Fly”, scarna nell’incedere (quasi delicato) ed improvvisamente caotica e violenta con la lunga deriva sonica dei minuti conclusivi del brano. Concetto che viene ancor più ampliato e strutturato in “Stop The Show”, brano che esplora e sottolinea varie forme di stato d’animo, codificando (in)consapevolmente una forma nuova di struttura progressiva applicata alla musica tipica delle sterminate province americane, degli stati di mezzo; sei minuti e mezzo in cui convivono tutte le anime musicali care a Martsch, da Young ai Dinosaur Jr., da Mississipi Fred McDowell ai Beat Happening. Gli stilemi dell’indie (contraddizione in termini, incidendo i Built To Spill per il colosso Warner Bros.) vengono esorcizzati in “Made-up Dreams”, confezionata su una voce volutamente svogliata, nell’unico brano del disco di durata inferiore ai cinque minuti e che riallaccia il discorso con la struttura-classica-canzone presente nei lavori precedenti, superati dall’evoluzione stilistica maturata fin dal proclama che è proprio del titolo… perfetto da qui in avanti.
Ricerca della perfezione, come negli otto minuti di “Velvet Waltz”, dove il discorso intrapreso con “Stop The Show” viene ri-elaborato, raffinato, ponderato e poi liberato nello splendore etereo della catarsi finale, con richiami al caldo rumorismo psichedelico di quel Paisley Underground, che non deve aver lasciato del tutto indifferente il giovane Doug Martsch. Il poderoso post hardcore di cui erano capaci i Treepeople esplode maturo e consapevole in “Out Of Side”, con incursioni in languide e desolate praterie e furiose cavalcate fin dentro la malinconica disarmonia di “Kicked In The Sun”, che termina esasperata nel suo incedere quasi marziale, dopo un lungo viaggio intrapreso alla ricerca del proprio io, disperso nelle rifrazioni della propria anima, colpita dai raggi del sole “it's alright now I'm getting over getting mine”.
Ma è alla fine che il pensiero complessivo ed utopico prende forma e sostanza, “Untrustable Pt. 2 (About Someone Else)” rinchiude tutta la perfezione compositiva di Martsch, ed anche a livello espressivo sonda i lati più nascosti, si spinge ai confini, senza peraltro oltrepassarli mai… parla a se stesso da se stesso, in un moto circolare che non esce mai dalle righe; confezionando un piccolo capolavoro magico e magnetico di otto minuti e cinquantatre secondi, che si vorrebbe non finissero mai.
Ma forse tutto questo è solamente uno dei dischi più emozionanti ed intensi di fine millennio.
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