Pueblo People
Giving Up On People
Per il solo fatto di essere caparbiamente fuori dal suo tempo, lesordio lungo dei milanesi Pueblo People, Giving Up On People (giunto a due anni di distanza dalla cassettina The First Four Moons e ad uno dal 12 Sentiero Di Guerra), meriterebbe un encomio tutto speciale. Girando per il sottobosco italiano, avrete occasione di ascoltare dischi indie, stoner, IDM, metal, dark wave, hip hop, free jazz, psych rock: ben difficilmente, tuttavia, incapperete in qualcosa che assomigli alloggetto del nostro disquisire. Nello sconfortato, sonnolento muso dellhusky di copertina vè la pigrizia congenita di mille pomeriggi tutti uguali, lo scazzo ed il sudore della cameretta, lindolente frustrazione delladolescente e dei suoi amplificatori, una vita di provincia che è tomba di ogni aspirazione poetica: le simple songs for the end times si materializzano in un coacervo di slacker a bassa fedeltà, indie rock, i Crazy Horse, le chitarre traslucide e fragranti del rocknroll primigenio, una voce rotta dallincertezza in cui si risentono Stephen Malkmus, J Mascis, Ash Bowie e chissà quanti altri. È, in tutto e per tutto, depeche mode
Lunico nome italiano dellultimo decennio al quale mi sentirei di accostare i Pueblo People non fosse altro per il revival di comuni influenze è quello dei giovani catanesi Loveless Whizzkid, da noi ascoltati con attenzione ed accolti con benevolenza un paio danni orsono. Mentre questi ultimi, tuttavia, dimostravano di subire linflusso del rock americano a tutto tondo incluse le sue derive più spigolose e rumorose , Giving Up On People non abbandona mai losso della melodia: nemmeno quando, proprio sul finire, i toni sembrano irrobustirsi, la linearità della narrazione incresparsi in una serie di tic nervosi (Whats wrong in me?, ci si chiede in una schizofrenica Comfort Warzone: praticamente Pixies + Putiferio). Le melodie!, già!, impossibile dimenticarsene: spuntano ovunque, si intrecciano, si incidono a fuoco nel cervello. Che effetto vi farebbe sentire Buddy Holly interrompere un check dei Built To Spill? Pompate King Of The Moral Capital. La pasta chitarristica di The Truth (Is In Here), granulosa e sgangherata, viene controbilanciata dalla sua spiccata vocazione alle traiettorie dellemo storico: Shit Hits è il provino ideale per ogni malandato, apatico crooner da scantinato; incrociate il brillantissimo songwriting dei Weezer del 1994 (i primi prodotti da Ric Ocasek: non a caso, The Cars sono altro riferimento chiave per questi pezzi) con le (di molto) maggiorate capacità tecniche del 2015 ed otterrete Dog People, autentica meraviglia novantiana che veleggia su di un basso poderoso.
È musica spiccatamente umorale, sincera fino al parossismo, imprevedibile nel suo orgoglioso passatismo, bizzarra nel suo lievitare e conquistare esponenzialmente, a tratti ingenua (The Way). Comunque vada, da un gruppo che mette in fila Contemporary Life (malinconico guitar rock da maestri) e Not Nothing (se i Thrills di So Much For The City avessero conosciuto Robert Pollard ) non ci si può aspettare altro che il meglio del meglio.
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