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R Recensione

8,5/10

Modest Mouse

The Moon & Antarctica

Le stelle sono i proiettori delle nostre vite e la terra non è altro che un enorme cinema all’aperto in 3D. L’arguzia poetica del buon Isaac Brock racconta la tragicommedia umana con metafore e immagini sottilmente surreali, spesso grottesche. Per il leader dei Modest Mouse la realtà è un grande e curioso acquario di contraddizioni, e noi siamo i piccoli pesci di questa strana prigione di vetro. Brock osserva sentimenti, paure e miserie altrui come il faro isolato su una scogliera che illumina a tratti la notte e le acque circostanti. Navighiamo a vista un mare costantemente mosso, poveri cristi indifesi tra “Il Castello Dei Pirenei” magritteiano e il blu profondo del “Paesaggio Marino” di Van Gogh: il mondo è un lontano “terzo pianeta” dove la forza di gravità libera i corpi, invisibile, e arriva fino al buco nero dell’universo per poi ritornare alla superficie delle “piccole città di sabbia”.

L’indie-rock multiforme del Topo Modesto è una lunatica bestiolina di elettrici spigoli post-punk, impressionismi Built To Spill, schizofrenia Pixies e malinconica calma folk. Ma forse le etichette da discount nel loro caso sono un inutile gioco di specchi in un luna-park abbandonato. I ragazzi di Issaquah, stato di Washington, fanno una musica personale e descrittiva che trae ispirazione dai più disparati riferimenti, dall’alternative americano anni Ottanta alla new-wave inglese di Gang Of Four e XTC. Il chitarrista e songwriter Isaac Brock, Eric Judy (basso) e il batterista Jeremiah Green formano i Modest Mouse nel 1993, nemmeno ventenni, e ottengono tre anni dopo il primo contratto per l’indipendente Up Records. Nel ’97 sarà l’indie low-fi di “The Lonesome Crowded West” ( i Dinosaur Jr. in psicanalisi con i Pavement) a fare il botto presso critica e pubblico alternativo, da lì all’ingaggio l’anno successivo per la major Epic il passo è breve.

“The Moon & Antarctica”, egregiamente prodotto da Brian Deck ai Clava Studios di Chicago, rappresenta nel giugno 2000 la definitiva maturazione artistica di Brock e soci: forti del budget superiore Sony, i Modest Mouse ispessiscono gli arrangiamenti di un suono denso e articolato, attraverso un’attenzione maniacale per il dettaglio sonoro sconosciuta quand’erano dei volenterosi pargoli-indie. E’ un lavoro compiuto e affascinante, un viaggio musicale di un’ora che avvia il motore dalla melodia sghemba di “3rd Planet”, con accordi soffusi come nuvole all’orizzonte, e incrocia sulla strada insonni Talking Heads atmosferici (“Gravity Rides Everything”), esistenzialismi alt-country in stile Tindersticks (“The Cold Part”), cortocircuiti di rarefatta psichedelia (“Life Like Weeds”) e nervose pop-song crepuscolari (“Dark Center Of The Universe”).

La favolosa “Tiny Cities Made Of Ashes”, da bravi soldatini post-wave che ingentiliscono il punk-funk anarchico del Pop Group, stimola l’appetito quanto Eva Mendes che ancheggia in una caserma di Barletta. Sugli appunti dei posteri anche una lunga ed espressiva “The Stars Are Projectors”, la delicata miniatura folkeggiante di “Wild Packs Of Family Dogs” e qualche filastrocca lievemente paranoica (“Paper Thin Walls”, “I Came As A Rat”). Infine, ecco una domanda che neanche Marzullo: di cosa sono fatte le persone malvagie? E mentre Isaac torna a sputare parole su chitarre isteriche (il rigurgito Fall “What People Are Made Of”) la luna scende sui ghiacciai dell’Antartide e dei misteriosi stati d’animo umani. Non ci resta che aspettare fiduciosi le prossime buone notizie.

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hiperwlt (ha votato 9 questo disco) alle 0:42 del 13 dicembre 2010 ha scritto:

everything that keeps me together is falling apart, i've got this thing that i consider my only art of fucking people over

questo è il primo album di notevole successo dei modest: qui il sound si fa meno "anarchico" rispetto ai precedenti dischi, risultando maggiormente rifinito e in molti episodi ben più melodico, benché, nei passaggi strumentali, risulti comunque "aspro", moderatamente lisergico e piuttosto sferzante. l'eterea "3rd planet" e la lunga "the stars are projectors", per me, gli apici di "the moon & antarctica". bravo Daniele ad averlo recuperato.

fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 1:07 del 13 dicembre 2010 ha scritto:

Oh sì gran disco, una serie di ottime canzoni, alcune davvero eccezonali: The Cold Part, Life Like Weeds e The Stars Are Projectors. Per me rimane un millimetro sotto rispetto a “The Lonesome Crowded West”, che conteneva la loro migliore canzone ("Cowboy Dan"). Grande Daniele, al solito.

4AS (ha votato 8 questo disco) alle 11:34 del 14 dicembre 2010 ha scritto:

A tratti è davvero magnifico (su tutte “Gravity Rides Everything”), inizialmente ho avuto qualche difficoltà ad "accettare" la voce di Isaac Brock ma ormai ci sono abituato... Invece Spencer Krug, che per certi versi gli somiglia, lo trovo indigesto.

folktronic (ha votato 9 questo disco) alle 1:42 del 15 dicembre 2010 ha scritto:

uno dei dischi che ho maggiormente apprezzato nell' indie rock americano dell' ultimo decennio....