Pavement
Crooked Rain, Crooked Rain
In una manciata di anni, dal 1989 al 1999, i Pavement hanno dato alla musica alternativa il miglior esempio pratico di come sia possibile essere (apparentemente) scanzonati e accantonare le pose da maudit del rock senza per questo rinunciare alla propria complessità . Gli amici Stephen Malkmus e Scott Kannberg, uniti fin dal college dalla passione sfrenata per la chitarra elettrica, costituiscono il primo nucleo della band che arriverà alla formazione definitiva solo nel 1994, dopo vari EP e un album, Slanted & Enchanted, che spalanca loro le porte per il successo tra gli appassionati del genere.
Crooked Rain, Crooked Rain è il secondo capitolo per questa band culto dell’indie rock, ed è anche l’album che segna l’arrivo di due nuovi membri: il batterista Steve West, amico del “session drummer” Bob Nastanovich, che sostituisce lo sbandato quarantenne (e poco capace) Gary Young e il bassista Mark Ibold, arrivato col tour dell’ album precedente. L’unico merito di Young era comunque quello di aver fornito lo studio di registrazione che aveva visto nascere il gruppo. Questi nuovi arrivi diventano definitivi e danno ai Pavement uno spunto per mettersi al lavoro.
L’album, pur senza una major alle spalle, entra direttamente al 121° posto della US chart e il singolo “Cut Your Hair” va al 2° posto nella classifica Top Ten Modern Rock Hit e in quella di MTV. Ma il gruppo non vuole essere etichettato come mainstream, e sottolinea ad ogni occasione la propria vocazione non “di massa”.
In Crooked Rain, Crooked Rain, i cambiamenti rispetto al primo cd sono pochi ma sostanziali. I suoni hanno una qualità superiore, che è data dal livello dello studio di registrazione dotato di un più moderno “24 piste” rispetto al precedente “8 piste”. Ma il puro sound lo-fi e il cantato “slacker” restano un punto fermo. A queste, forse le caratteristiche principali della band, bisogna aggiungere che qui le sonorità virano verso armonie piacevolmente pop: nel senso buono del termine. Nell’album troviamo tutte le influenze a cui un gruppo indie si può rifare: The Fall, Sonic Youth, Pixies. Ma – e questa potrebbe essere una sorpresa per chi conosce solo i R.e.m. del Duemila – il vero ispiratore di questo album è la band di Michael Stipe.
Il disco parte con suoni di “settaggio” degli strumenti, accordature che mettono in evidenza da subito la via, low-fidelity appunto, che seguirà tutto il resto del lavoro. “Silence Kid” è musica che arriva dal profondo, grazie alla chitarra rock che accompagna la voce unica e ispirata di Stephen Malkmus, la stessa che ritroviamo in “Elevate Me Later”. “Cut Your Hair” diviene da subito l'inno degli indierocker ’90’s style, anche ma non solo per il suo testo (“Songs mean a lot/When songs are bought/And so are you”). L’arpeggio di “Gold Soundz”, canzone sull’autostima che accomuna SM a tutti i Kurt Cobain del mondo, brilla quanto il suo titolo. “Unfair” è una cavalcata di sonorità che sciama in divagazioni distorto-psichedeliche merito della chitarra di Scott “Spiral Stairs” Kannberg.
Il momento sperimentale arriva con “5 - 4 = Unity”: qui, ritmi jazz sono miscelati a monocorde surf e intervallati da suoni che, perfettamente introdotti, ricordano lo svolazzare delle lamiere di acciaio nel vento. “Range Life” è il pezzo in cui troviamo la maggior influenza dei primi R.e.m. e dove i nostri si divertono a ridicolizzare il prendersi troppo sul serio (e i nomi) di band come Smashing Pumpkins e Stone Temple Pilots. Gruppi che nei testi usano sempre toni seriosi, troppo seriosi per i gusti di Stephen e soci. Questo costerà loro un’estromissione dal cartellone del Loollapalooza Festival per mano di Billy Corgan, offeso proprio dal testo del pezzo. “Newark Wilder” sembra cantata da una donna, volutamente in falsetto, a detta dello stesso Malkmus, che la definisce “una canzone da cabaret”.
“Hit the Plane Down” è un noise psichedelico con una base ritmica ipnotizzante che ci fa capire quanto la band voglia visitare tutti i generi per fonderli e farne uscire un album carico e pieno. Un album che pochi gruppi si possono permettere, imperdibile. È anche grazie ad esso, che questi ragazzi di Stockton, California, sono entrati a far parte della storia del rock.
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