A Alt J Live - Roma - Circolo degli Artisti

Alt J Live - Roma - Circolo degli Artisti

Roma, 29 novembre 2012. Clima umido, piove. Al Pigneto, nelle zone vicine al Circolo degli Artisti si inizia a vedere gente che giureresti si stia dirigendo ad un concerto. Stasera suonano gli ALT-J, uno dei gruppi rivelazione dell’anno, probabilmente “il” gruppo rivelazione dell’anno, freschi vincitori del Mercury Prize 2012. Il concerto è sold out da giorni e a giudicare dalla calca che presto si crea all’interno della minuta sala, ci sarà pure qualche imbucato di troppo.

Il tempo di bere una birra gelata, scambiare due chiacchierare con l’amico che mi accompagna in questa avventura, scorgere, presentarsi, ed intavolare una piacevolissima discussione sul 2012 in musica con il più grande giornalista italiano di musica in circolazione, ed ecco salire sul palco unePassante, il progetto della siciliana Giulia Sarno, che colpisce immediatamente nel segno. Un synth pop e, per alcune cose sentite, pure art pop, che tanto visivamente quanto musicalmente avvicina e unisce Anna Calvi a Bjork. Davvero un ottimo aperitivo.

L’attesa tra la folla sale. Il gruppo spalla ha ormai terminato da più di mezz’ora. Fischi, urla, i soliti applausi al biondissimo soundcheckaro quando finalmente, intorno alle ore 23, assistiamo alla timida e discreta salita sulla scena dei giovanissimi 4 ragazzi di Leeds, ora d’ istanza a Cambridge, Joe Newman (voce e chitarra), Gwil Sainsbury (basso), Gus Unger-Hamilton (tastiere) e Thom Green (batteria).

Poco spazio all’immaginazione, si inizia con l’Intro. Il suono è pieno, lento, più lento dell’originale, e qualcosa mi dice pure che da qualche parte c’è una chitarra leggermente scordata. Quindi un folto gruppo di ragazzi, con una maglietta nera ed una N rossa all’altezza del petto, sale sul palco e si posiziona nelle retrovie, proprio come un coro pronto ad esibirsi. Ed infatti è proprio un coro che, non appena finito di sistemarsi, intona, assieme a Joe e Gus, le note dell’Interlude I, ed è una cosa meravigliosa. Quello che già nella versione originale è eseguito a cappella diventa uno dei momenti più intensi del live e lancia in maniera ottimale le poderose tastiere di Tessalate, il pezzo più folktronico ed inveterato del loro ancor modesto (in termini esclusivamente numerici) repertorio. Un tripudio. I loro magnifici cori, finora ancora impeccabili, si intrecciano a quelli dei coristi, fino a regalare l’emozione più sincera e forte dell’intero concerto.

Ad intrattenere il pubblico, tra un pezzo e l’altro, ci pensa Gus, il tastierista, un Milhouse barbuto e spilungone che sembra a tratti incredulo di fronte al caldo entusiasmo romano e che abbozza sorrisini beffardi ogni qual volta si accorge che il pubblico sta cercando di cantare, in un inglese veramente improbabile, le loro canzoni. Joe, il cantante chitarrista e frontman, appare invece un tantino stanco e, a dirla tutta, pure leggermente soprappeso, ma suona, canta e tiene la scena con una calma serafica e rassicurante.

Terminata Tessalete, Gus, dopo il ringraziamento per la magnifica accoglienza che l’Italia gli sta riservando in questi giorni, annuncia Something good, e la mia scommessa di assistere alla trasposizione, pari pari, dell’album è clamorosamente persa. Si continuano ad ascoltare note leggermente stonate, piccole stecche nei cori, ma pochi sembrano accorgersene, riscuotendo molto più successo ed attenzione la lunghissima frangetta bionda di Gwil, il bassista, che ondeggia continuamente sulla testa della esagitata fan della prima fila, così come fa una tenda di una stanza lasciata colpevolmente aperta nel bel mezzo di una tempesta di scirocco italico.

Si continua con Dissolve Me, dove Gwil ripone (per non riprendere più) il bianchissimo basso Fender Jazz per imbracciare la seconda chitarra (una altrettanto bianca Fender Stratocaster), Joe cambia la sua stratocaster per una telecaster, ed il concerto prende, per quel che mi riguarda una piega diversa. Il suono difatti, senza l’amalgama del basso, risulta essere più nudo e le imperfezioni di voci e chitarre si fanno più tristemente evidenti. Ma il dolore è lenito dal fatto che stanno per arrivare i pezzi più amati, e chissenefrega se proprio tutto non è perfetto. Dopo tutto questi ragazzi sono dei giovanissimi d’un tratto catapultati in giro per il mondo a fare quello che da pochissimo hanno iniziato a fare. Gli artisti. E la platea del relativo Circolo sembra perdonare alla grande.

E’ per questo che quando attacca Fitzpleasure, l’entusiasmo è ormai incontenibile. Tutti a “cantare”. A differenza del successivo brano, che nessuno, compreso il sottoscritto, sembrava mai aver ascoltato prima. Gus annuncia Slow Dre, chiarendo che lo stesso è un loro esperimento di mashup dei pezzi Slow e Still Dre rispettivamente di Kylie Minogue e Dr. Dre. Piacevolissima.

Slow dre ha stemperato gli animi, mi sarei aspettato quindi un pezzo più energico, ed invece arriva Matilda, la ballad di An awesome wave. L’applausometro segna il punto massimo della serata. Molti telefonini al cielo e primi applausi ritmati del pubblico.

Si continua con Bloodflood, senza le voci dei bambini della versione originale ma comunque convincente nel suo ruolo di rappacificante marcia onirica. Joe sembra sempre più stanco ma riesce ad interpretare comunque al meglio uno dei momenti più intensi dell’album. Thom, il batterista, l’unico realmente sempre impeccabile durante il concerto, inizia a bacchettare i bonghetti piazzati sulla scarna batteria (cassa, rullante e sonagli). “I ragazzi ci sanno fare”, si dicono in molti.

Evidentemente è questo il momento del batterista, perché terminata Bloodflood si alza e prende il posto di Gus alle tastiere, dove in realtà c’era pure nascosta una drum machine con l’effetto xilofono. Io l’avevo capito prima delle sardine che mi stavano accanto, che stavano per eseguire Ms. Il grido, in coro, a cappella, the dark seeks dark, squarcia l’aere nella sala ammutolita dove tutti sembrano in religiosa adorazione finché arriva il classico, odioso urlo dell’istrionico teppista di emozioni, che proprio non ce la fa a starsene a casa o ficcarsi una patata in bocca ai concerti. Schediamoli.

Pochi attimi di sosta ed l’inconfondibile riff iniziale di chitarra di Breazblocks fa segnare il nuovo record all’applausometro. Gus ride di gusto e rischia più volte di inciampare nel coro tanto è travolto dalla foga della folla che canta a gran voce il cavallo di battaglia, come si usava dire una volta. L’ammetto, stavolta ho cantato anch’io, ma quello che ho detto non avrebbe senso in nessuna lingua scritta esistente al mondo. E’ il finale prima del bis. Gli ALT-J salutano, frastornati e commossi, la folla in delirio e vanno via.

Ma si fanno attendere davvero pochissimo. Dopo appena due minuti, Gus e Joe ritornano, solo loro, sul palco. Chitarra voci e note di xilofono per Hand-made l’ultimo brano dell’album, nel quale i due mostrano un affiatamento ed una sensibilità che solo gli amici che suonano assieme solitamente riescono a trasmettere.

Ormai è chiaro, manco solo Taro, il brano che personalmente amo di più da An awesome wave. Probabilmente anche loro, se decidono di promuoverla ad ultimo brano della scaletta. Tutti di nuovo assieme sul palco per unirsi in un unico caloroso abbraccio con il pubblico romano. E nonostante l’idea di lasciare la chitarra solista a Gwil sia una scelta che in futuro dovrà essere meditata a fondo, visti i numerosi inceppamenti sull’effetto mandolino, fulcro melodico del brano, è il degno saluto al pubblico pagante, che potrà dire per sempre di aver visto dal vivo, nel 2012, la rivelazione del 2012.

Tante sbavature, ma anche tanta simpatia, comprensione e trasporto per chi, all’esordio, è riuscito a partorire un album così incredibilmente valido, portato ora in giro con semplicità ed un certo stupore per tutta Europa. Una sola certezza quindi, ieri come oggi: ALT-J. La fantastica onda del 2012.

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Franz Bungaro, autore, alle 11:36 del 18 dicembre 2012 ha scritto:

Le riprese sono della persona che mi stava affianco, quindi perchè non dare voce e immagini a quello che ho visto e di cui ho poi scritto!

Franz Bungaro, autore, alle 11:38 del 18 dicembre 2012 ha scritto:

...e poi ancora, uno dei momenti più "intensi"...