R Recensione

6/10

Devendra Banhart

What will we be

Alcune volte fa male. Perché il pensiero va subito a quelli che sogghigneranno di soddisfazione pensando: “l’avevo detto, io!”. Allora togliamoci il dente subito, questo nuovo disco di Devendra Banhart sembra dar ragione a coloro che lo reputavano l’ennesimo bluff del sottobosco indie americano.  

Devendra Banhart, 28 anni e mai un colpo a vuoto (dagli esordi freak al folk essenziale di “Rejoicing in the hands” fino agli arrangiamenti multicolore di “Cripple Crow”), questa volta non convince. Il suo primo album su major (sarà loro la colpa?) è un innocuo e raffazzonato pastiche di suoni che mancano di ispirazione e probabilmente anche di genuinità. La sensazione che scaturisce dalle 14 tracce di “What will we be” è quella di trovarsi di fronte ad un disco assemblato esclusivamente per compiacere. Non si spiegherebbe in altro modo la presenza di un singolo (“Baby”) che è un funky-reggae talmente banale e “discreto” da poter accompagnare gli aperitivi estivi di Porto Cervo. E poco dopo il barbuto californiano arriva a fare di peggio, quando “Chin Chin & Muck Muck” maschera con un sax ruffiano una melodia da carillon-jazz talmente piatta che nemmeno la consueta ironia (il la-la-la biascicato nel finale) riesce a salvare. Non che Banhart non ci provi, il fatto è che si assesta sui suoi soliti canoni senza mai riuscire a ripeterne i risultati: i suoni seventies di “Rats” non vanno da nessuna parte, al punto da far rimpiangere il side-project Megapuss, allo stesso modo i fumi psichedelici di “Maria Lionza” sembrano arrivare da un processo di copia-incolla del tutto improvvisato.  

Un risultato inspiegabile, se consideriamo la caratura dell’autore, il prestigio dei collaboratori (che sono sempre i soliti, da Noah Georgeson a Andy Cabic dei Vetiver fino a Greg Rogove dei già citati Megapuss), e l’ottima produzione di Paul Butler, capace di preservare l’effetto “lo-fi” pur compiendo un gran lavoro di bilanciamento timbrico e pulizia sonora. E – ancora – non manca neanche la consueta voglia di sperimentare, di esplorare sonorità nuove: dal roots-reaggae di “Foolin” al divertente esperimento “Devendra meets Roxy Music”(!) di “16th & Valencia Roxy Music”.  

Insomma, è tutto al posto giusto ma – incredibilmente – quello che manca è proprio Devendra. Quasi del tutto. Perché nei rari momenti in cui si ripresenta per quello che è (un cantautore dalle capacità straordinarie, è bene ribadirlo), è tutta un’altra musica. La seconda parte di “Angelika”, una bossa indolente cantata (evviva!) in spagnolo e punteggiata da precise note di pianoforte, il rock acustico figlio degli anni ’60 di “Goin’ Back” e soprattutto l’accoppiata composta da “First song for B” (con quel crescendo di piano teso e “post-rock” mentre lui canta “Please destroy me” – ovvero come salvare un disco intero in un minuto e trentadue secondi) e “Last song for B”, tenue ballata acustica soffocata e sofferta fino all’ultima nota. Disastro scampato per un soffio, però – Devendra – accetta un consiglio: questo è “What won’t it be”.

 

Internet -

http://devendrabanhart.com/

http://www.myspace.com/devendrabanhart

 

Video -

"Baby" -  http://www.youtube.com/watch?v=dSf9lAg9h0Q

"Last song for B" - http://www.youtube.com/watch?v=TAde4cmtpK8

 

V Voti

Voto degli utenti: 5,1/10 in media su 6 voti.
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0,5
sarah 6/10
luca.r 4,5/10

C Commenti

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hiperwlt (ha votato 6 questo disco) alle 10:52 del 10 dicembre 2009 ha scritto:

asettico,ma con qualche buona canzone ("first song for be", "can't help but smiling", "baby", che invece a me non dispiace).6. ottimo,invece, fabio.

REBBY alle 10:58 del 10 dicembre 2009 ha scritto:

Chissà perchè mi fischiano le orecchie?!? E si che

non ricordo un mio intervento su Devendra e che

soprattutto non lo ritengo un bluff! Egli ha

saputo donarci una "doppietta" forse irripetibile

(da lui) nel 2004 che lo ha elevato al livello

dei folksingers più importanti di questo decennio.

Pochissimi tra i giovani altri, con solo chitarra e voce o giù di li, sono stati in grado di fare bene com'è riuscito a far lui con Nino Rojo. Per

me dopo è iniziata la discesa prima con Cripple

Crow, che è discreto, e poi con Smokey rolls

thunder canyon, che pur non essendo una schifezza,

vale ancor meno. Il fatto che la bella recensione

di Fabio (da amante tradito eheh) dice quello che

dice mi convince a soprassedere a questa tappa

(ma non necessariamente alla prossima eh).

sarah (ha votato 6 questo disco) alle 23:25 del 17 dicembre 2009 ha scritto:

Si è un po' sciupato.

salvatore alle 15:46 del 30 aprile 2010 ha scritto:

A proposito degli arrangiamenti multicolore di "cripple crow", ieri ho visto al cinema l'ultimo film di Solondz (un genio disturbante), "Perdona e dimentica" (consigliatissimo) nella cui colonna sonora c'è una canzone tratta dal cd di Banhart sopra citato: heard somebody say. Che meraviglia di canzone!!!!! E io che me l'ero persa... Se è successo anche a voi, RIMEDIATE!

andyquasart (ha votato 6 questo disco) alle 23:14 del 25 settembre 2010 ha scritto:

mah...

...in effetti mi aspettavo molto di meglio dal Devendra, che nel frattempo è diventato uguale a Dylan Dog (o Rupert Everett...dipende). comunque sono stato a villa ada a sentirlo dal vivo e posso dirvi che ci tornerei altre 10 volte minimo.

Ecco la scaletta del concerto a Roma:

Long Haired Child

Baby

Shabop Shalom

Bad Girl

The Body Breaks

Little Yellow Spider

A Sight to Behold

I remember

The Last Song for B

The Charles C Leary

How’s about tellin’ a story?

Seahorse

Take Some Time

16th and Valencia Roxy Music

Tell it To My Heart (cover di Taylor Dayne)

Foolin’

Lover

Diamond

Carmensita

Rats

Child (Encore)

feel just like a child