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R Recensione

6/10

Fabrizio Cammarata & The Second Grace

Rooms

Nulla di quello che sentirete in “Rooms” vi farà pensare ad un album italiano: non per denigrare sempre la musica nazionale o per la scelta del (perfetto) cantato in inglese. Semplicemente la musica in esso contenuta vive di tradizioni altre, lasciando intuire panorami distanti: lande verdi con l’erba piegata da venti impetuosi che poco più avanti precipitano su scogliere scosse da onde fredde e implacabili, oppure distese brulle, bruciate da un sole che non sembra estinguersi mai. Posti in cui il cuore necessita di un rifugio, un luogo in cui ristorarsi per un po’ prima di riprendere il viaggio, raccogliendo le energie, ripercorrendo affetti e ricordi.

Fabrizio Cammarata e i suoi The Second Grace vengono dalla Sicilia, ma solo raramente emerge una indole mediterranea da queste canzoni, se non quella metaforicamente riconducibile al guardare il mare con la voglia di partire per solcare il sogno del viaggio. L’album evolve da un gusto per sonorità acustiche e per il cantautorato anglofono (sia esso made in UK o in USA, senza badare troppo alle distanze geografiche). Non è un caso dunque che "Rooms" sia stato registrato tra la Sicilia e gli Stati Uniti sotto la sapiente guida JD Foster (produttore di Calexico, Marc Ribot, Vinicio Capossela), includendo la collaborazione di Joey Burns e Jairo Zavale dei Calexico.

Tra i  pezzi che lo compongono, l’incanto di Alone And Alive, che si localizza al crocevia fra Occidente e Medio Oriente, si caratterizza come uno dei momenti più alti e ispirati dell’intero “Rooms” insieme a Me And The Rain e all’intensa Aberdeen Lane. Ci sono poi ritratti più piccoli ma ugualmente pregni di una grande emotività che pervade l’anima interamente come in Down Down, Myriam o nella ninna nanna di Highlake Bay. I riferimenti rinvenibili in “Rooms” travalicano dunque lo spazio e il tempo, rammentando “storie” differenti: Donovan, Nick Drake, il Dave Matthews più intimo, gli I Am Kloot, Devendra Banhart e molti altri. Non è un album magniloquente, non ricerca la maestosità, semmai la rifugge. Ma non per questo è un lavoro debole: anzi in esso Fabrizio Cammarata ha talmente acuito i sensi da essere riuscito a cogliere l’epicità delle piccole cose, di quelle legate ad un piccolo filo di emozione che potrebbe essere spezzato dal passo di un camminatore distratto. Tutto ciò che conta invece è vivo e tenuto vivo. Ed qui e ora.

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