A TOY live@ Circolo degli Artisti - Roma 31-3-2014

TOY live@ Circolo degli Artisti - Roma 31-3-2014

Assistere ad un concerto dei Toy non capita tutti i giorni in Italia, ma tutti gli anni (o quasi) si però, almeno da quando hanno cominciato a rilasciare dischi. Due album in tutto (sono estremamente giovani), l’acclamato omonimo esordio del 2012 e la conferma, parziale ma comunque di gran livello, di Join the dots, rilasciato sul finire della passata stagione, tanto sul finire che in pochi se ne sono accorti. Secondo tour europeo dopo quello che li vide esibirsi, sempre a Roma e sempre sul palco del Circolo degli Artisti, lo scorso 3 dicembre 2012.

I Toy ci credono in quel che fanno, e fanno molto bene. L’ombra dei The Horrors, anche solo da un punto di vista meramente visivo e attitudinale è forte, per quanto come più volte sottolineato anche nelle numerose discussioni sull’argomento su questo sito, loro vanno oltre perfezionando discorsi altri, maturi, sempre citazionisti ma con caparbia personalità e stile.  

Il concerto lo aprono i riff mantra di basso e chitarra, innestati tra fendenti psichedelici di tastiera, di “Conductor”, l’opening track strumentale di Join the dots. La penombra eccessiva di fumo retroilluminato di blu mi fa realizzare con ritardo che il frontman e la tastierista non sono altro che quella strana coppia nella quale mi ero imbattuto un’oretta prima per strada, dove lei (Alejandra Diez) era subito balzata agli occhi perché bellissima (“pare na modella”) e lui (Tom Dougall) perché goffo e impacciato, vestito come un british dandy d’altri tempi, una sorta di incrocio tra un giovane Oscar Wilde e un Jack White dopo una drastica dieta, alla isterica ricerca di qualcosa d’importante (la porta d’ingresso al backstage, n.d.r.).

Quando parte Colours running out (l’opening track del primo disco) il pubblico (numeroso, ma si stava larghi) si ricorda del perché è qui riunito stasera e del perché tanto clamore suscitò a suo tempo quell’album, dove infinite e piacevolissime erano le gare a chi ci riconosceva dentro più generi (shoegaze e psichedelia vincevano sempre, seguiti da post-punk e certo proto-punk, al quale in genere si aggiungeva l’attitudine c.d. motorik dell’incedere) e più artisti (qui la lista è sconfinata, mi limito a citare quelli che io ci sento dentro, a diverso titolo, ovvero i Velvet Underground, i Pulp, i Sonic Youth, i My Bloody Valentine e ovviamente gli Horrors).

L’adrenalina sale ancora con Dead and gone (il mio pezzo preferito, che mi aspettavo quindi in coda).  Nonostante le piccole imperfezioni sonore loro dimostrano di stare benissimo sul palco, artigiani di suoni fumosi, densi, continui, stacanovisti del martellamento incessante su corde, pelli, tastiere, spesso in modo frenetico, spesso ipnotico, quasi sempre con la testa china in avanti e lo sguardo rivolto verso terra.

Il concerto scivola via con naturalezza, sempre costantemente avvolti da un suono oltremodo riverberato e inafferrabile ma con sempre più carica addosso, loro e noi, fino al momento più bello in assoluto. La tripletta finale, alla quale non seguirà alcun bis, affidata a My heart skips a beat (da stasera, il mio pezzo preferito), Motoring (il cui arpeggio frenetico iniziale rompe l’apatia nella quale un po’ tutti eravamo precipitati) e Join the dots, la meravigliosa title track dell’ultimo album.

L’invito era chiaramente quello di unire i tanti puntini per vedere cosa sarebbe uscito fuori. Ne esce un gruppo solido, bello, giovane ma malizioso e gagliardo abbastanza da farci sperare in tante altre cose buone per il futuro.

Il ponte tra  lo shoegaze e la psichedelia, per quel che mi riguarda, da stasera ha un nuovo mattone, messo con fatica e tanto silente rumore.

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