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R Recensione

8,5/10

Cloud Nothings

Here and Nowhere Else

Il lavoro, le teste di cazzo, le cose che ti devi ricordare di fare e quelle che ti devi imporre di non fare. La negatività ti assale, in un momento, e vorresti chiedere conto a qualcuno del perché tutti stanno pensando di darti contro, contemporaneamente. Qualcuno, a questo punto della storia, direbbe quella cosa orrenda "...e poi ci sono... i Cloud Nothings". Dirò quindi, più semplicemente, e meno fabiovolosamente, "oggi ci sono i Cloud Nothings",  e dovremmo esserne fieri e attenti osservatori, anziché superficiali e disattenti detrattori. Perché sta accadendo ora, stanno suonando ora e stanno incidendo dischi nei giorni che stiamo vivendo. Assistiamo in diretta all'ascesa di un gruppo che sta crescendo a dismisura sotto i nostri occhi e che se con i primi lavori poteva non aver convinto tutti (compreso il sottoscritto) adesso con questo Here and nowhere else, spazza via dubbi e incertezze e si colloca direttamente lì in cima, tra i pochi veri protagonisti dei nostri sogni musicali contemporanei.

Ho vissuto in prima persona l'ascesa di molte formazione oggi di culto, spesso da ingenuo e folle ragazzino con evidenti limiti di lucidità che furono però determinanti nel percepire il genio di certe formazioni che (in gran parte) non esistono più (Nirvana, Pearl Jam, Smashing Pumpkins, Slint, Fugazi, Shellac). Ecco, accostare i Cloud Nothings a queste formazioni é sicuramente impossibile, sia da un punto di vista strettamente musicale (qui si fa essenzialmente dell'emocore accelerato, berciato con la rabbia di una generazione postqualcosa) sia perché si tratta di tempi e impatti emotivi differenti, dove certamente i tempi mutati hanno cambiato il modo in cui la musica arriva ed emoziona le persone.

Ma se riusciamo per un attimo ad astrarci da tutto ciò, a dimenticare le caratteristiche distintive dei nostri giorni e le coordinate temporali, anagrafiche, geografiche, emotive e culturali che ci condizionano, allora non potrete che convenire con il sottoscritto sul fatto che Baldi e soci sono (nel momento che scrivo) la cosa più bella e devastante che c'è.

Hanno la rabbia giusta incanalata dentro schemi certosini fatti di piccole variazioni dal metodo hardcore classico (Black Flag), pescando nell'indie paranoico degli Strokes, nell'incedere rumoroso ed incessante dei Japandroids, nella rude dolcezza della nuova ondata emocore internazionale (Crash of Rhinos, soprattutto, benché appena disciolti), in ciò che di punk poteva ritrovarsi nella vecchia guardia di casa Dischord (Lungfish su tutti) e in ciò che di pop filtra da band quali Sugar  (e poi Bob Mould solista) e Foo Fighters.

In quest'ultimo capitolo, a dirla tutta, ci sono, molto banalmente, dei pezzi magnifici, cosa finora mai veramente accaduta nei loro album (eccezion fatta per No Future/No past da Attack on Memory). Ci sono, finalmente, quelle tracce che scalano in brevissimo tempo le tue personali classifiche di ascolti. Psychic Trauma, ad esempio, e' un classico dopo una manciata di secondi e vale da solo il prezzo del biglietto, Now Hear In ci mette giusto un paio di giri in più ma alla fine é una botta ugualmente tremenda. Chitarroni sporchi e gracchianti affumicati dal rumore, altre volte intenti in affilati e maliziosi riff, alta velocità, batteria frenetica, storie raccontate con intensità sempre crescente fino a debordare, spesso, nell'attitudine vagamente punk (spesso post-punk, altre volte classicamente hardcore) dei tanti rivisitatori, non necessariamente devoti, moderni (i Fidlar ad esempio o, soprattutto, gli Wavves).

Just see fear comincia cattiva come cattivi potevano essere i primi Offsprings per poi rientrare nei ranghi di una gestibile e godibile melodia calmierata da chitarre simil wave. Le chitarre dei Nofx sembrano fare capolino in Giving into Seeing, ma non è solo questo. Il primo vero sguardo sul post-punk è invece quello della micidiale Pattern Walks, con il suo basso caldo e cadenzato e le sue atmosfere cupe e sofferte, presentate in almeno tre o quattro vesti lungo i 7:23 di cui è composta. Fantastica la chiusura di I’m not part of me dove Foo Fighters, Wavves e Japandroids salgono sul palco assieme ai nuovi protagonisti della scena post-hardcore mondiale.

I pezzi prendono spesso diverse traiettorie riuscendo ad identificare un'offerta non certo nuova ma straordinaria, dove, fondamentalmente, l'indie di ispirazione albionica trova pace e confortevole dimora  nell'hardcore d'oltreoceano, con credibilità e abilità nel proporre un giusto mix di ingredienti sonori che sfociano alla fine in pezzi sempre validi, asciutti e tirati fino alla fine, uno dopo l'altro, senza sosta. In modo differente dal passato, le tracce stanno tutte bene assieme e non si ha più la percezione di pezzi diversi, pure validi presi singolarmente, ma assemblati un pò alla rinfusa. Questo disco ha finalmente una sua precisa identità e suona da Dio, dalla prima all'ultima traccia.

Una iniezione di positività e conforto tra le tante cose mezze belle, anche belle, il più delle volte passabili, che inondano la quotidianità dell’ascoltatore attento assetato di musica. Manca davvero poco al capolavoro vero, ed allora anche i freddi detrattori di oggi dovranno tirare giù la maschera.

Ecco ce l'ho fatta a scrivere dei Cloud Nothings senza citare Steve Albini. Ops. Vabbè stavolta sembra però che lui non c’entri niente, il nome da fare è quello di John Congleton, e se tanto mi dà tanto, meglio così.

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 14 voti.
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cnmarcy 6,5/10
Sor90 8,5/10
target 7,5/10
Santi 7/10
REBBY 7/10

C Commenti

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Nucifeno alle 15:38 del 22 aprile 2014 ha scritto:

É veramente un botto di tempo che non ascolto post-core e simili (starò diventando vecchio? booooooh) e mi piacerebbe ricominciare. Credo proprio che lo farò partendo da questa segnalazione, davvero molto interessante!

nebraska82 (ha votato 7,5 questo disco) alle 10:03 del 28 aprile 2014 ha scritto:

Veramente molto buono. "Psychic Trauma" una delle canzoni dell'anno fin qui.

Sor90 (ha votato 8,5 questo disco) alle 19:49 del 15 dicembre 2014 ha scritto:

Va beh, ora mi decido a votarlo. E' da febbraio che mi fa compagnia nel lettore. Una bomba. Non sentivo riff così ispirati da non so quanto tempo ; adoro il fatto che siano così potenti ma allo stesso tempo stratificati. La rabbia dell'hardcore perfettamente incanalata in costruzioni perfette, il meglio delle chitarre dei nostri giorni distillato in hook da manuale, mai troppo espliciti, sempre pronti a colpire in seconda battuta ed è tutto così fottutamente (mi faccio trascinare dalla recensione ) naturale. In questi anni di "morte del rock" (vera o presunta, direi la seconda) dischi come questo brillano di una luce particolare.

Migliore dell'anno, e pure così poco rappresentativo dello stesso.

Sor90 (ha votato 8,5 questo disco) alle 19:53 del 15 dicembre 2014 ha scritto:

Aggiungo, recensione perfetta per il mood dell'album. E aggiungo anche che dal vivo si perde molta della "precisione" ma quello che accade sotto è uno spettacolo

Franz Bungaro, autore, alle 17:00 del 18 dicembre 2014 ha scritto:

Grazie Sor Vito!...si, sottoscrivo quello che hai scritto e il "fottutamente" mi piace...che disco, che disco!!!!affan...

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 12:00 del 10 marzo 2015 ha scritto:

Concordo anch'io che questo album sia il loro migliore, ma i brani loro che preferisco restano No future/ no past e Wasted days. Con questo il mio 45 si fa con Psychic trauma e I'm not part of me.

baronedeki (ha votato 8 questo disco) alle 16:51 del 12 agosto 2016 ha scritto:

Se stavolta Albini non c'entra niente non fa' altro che rafforzare il mio rispetto per questa band