I Radiohead decretano la morte del disco?
Vi ricordate i tempi in cui si passavano i pomeriggi interi cercando alla radio le canzoni che ci piacevano, registrandole in cassettine che poi si scambiavano con gli amici?
Durissimi e pioneristici tempi, nei quali i dischi stranieri (soprattutto quelli americani) uscivano in Italia non in contemporanea, ed alcuni erano reperibili soltanto sul mercato “di importazione”.
I più giovani sorrideranno al pensiero che per rintracciare una canzone sentita alla radio ci si poteva mettere settimane e spesso si doveva ricorrere ai programmi di dischi a richiesta, nella speranza che lo speaker non ci parlasse sopra o non la interrompesse anzitempo con uno stacchettino pubblicitario.
Davvero altri tempi.
il 10 Ottobre i Radiohead hanno immesso sul mercato il loro nuovo disco (“In Rainbows”) inizialmente solo sul web, e chi lo acquisterà potrà decidere il prezzo che intende pagare (anche soltanto un euro!).
Si tratta di un evento rivoluzionario che potrebbe mutare le regole del gioco, anche perché deciso da una delle band più influenti del pianeta.
Ma come si è arrivati ad una situazione del genere?
Facciamo un rapido riepilogo delle puntate precedenti…
Oggi la tecnologia ed il web stanno cambiando completamente il modo di fruire la musica.
Chiunque munendosi di un computer di un modem, di una connessione Internet e di un semplicissimo software può scaricare la musica preferita da casa propria accedendo all’intero scibile dell’industria musicale internazionale.
Con semplici click attraverso I-Tune si può avere nel giro di pochi secondi un brano musicale scaricato sul proprio hard disk.
Con pochi €uro è possibile scaricare un album intero (copertina compresa), oppure crearsi una compilation personalizzata.
Ognuno può essere il disk jockey di sé stesso componendo selezioni che attraverso un masterizzatore possono essere fissate indelebilmente su un supporto cd, senza il rischio di spingere quel maledetto pulsante REC che ha distrutto decine e decine di audiocassette, sostituendo ad uno strepitoso assolo di chitarra, il pianto singhiozzante del fratellino più piccolo.
E si può accedere a suoni una volta solo lontanamente immaginati, come le produzioni dell’estremo oriente o quelle delle province più interne del Sud America.
Oppure le compilation possono essere riversate su comodi I-Pod, in grado di accompagnarci un po’ ovunque, rendendo le nostre selezioni musicali la colonna sonora della nostra giornata.
Quando ci si stanca di alcuni brani, questi pssono essere rapidamente cancellati e sostituiti con altri nuovi, in un meccanismo usa e getta che sta diventando il tema principale della Snack Generation.
Tutto va a mille all’ora, non c’è più tempo per approfondire, per soffermarsi ad apprezzare, per gustare con calma.
Ormai il disco è malato, non si vende più, i negozi di dischi sono in crisi e la grande maggioranza dei piccoli punti vendita ha chiuso i battenti da tempo.
Alcune band importanti hanno annunciato che non produrranno più dischi, ma soltanto singoli, e che punteranno esclusivamente sull’attività live per sopravvivere.
In Italia anche un monumento come Vasco Rossi la scorsa estate si è limitato ad immettere sul mercato un paio di canzoni singole, visto che il popolo di Internet non ha tempo per ascoltare un album intero: il mondo in cui viviamo si è ormai trasformato in un gigantesco Zapping.
C’è poi il fenomeno del peer - to - peer, meccanismo controverso attraverso il quale un utente può mettere in comune con tutto il popolo del web i file musicali che risiedono sul proprio computer.
È stata questa la vera rivoluzione: musica gratis, disponibile immediatamente.
Oggi sono in molti a sostenere l’inutilità del disco ed a ritenere arrogante il fatto di porre in vendita, confidando anche sul fatto che qualcuno lo acquisti, un supporto con la stessa musica che si può ottenere di fatto gratis con il downloading.
È chiaro che qui si sfora su un discorso legato ai diritti d’autore, e siamo certamente tutti d’accordo sul fatto che la proprietà intellettuale vada salvaguardata e remunerata.
Ma il processo è ormai inarrestabile ed incontrovertibile.
Va comunque considerato che attraverso il peer - to - peer molti giovani hanno avuto la possibilità di scoprire band che altrimenti non avrebbero mai avuto la possibilità di ascoltare.
L’unico modo per far sopravvivere l’oggetto disco è creare dei grandi dischi, con idee innovative, grandi canzoni, ed un packaging curato.
Diventa di fondamentale importanza riuscire ad ideare un oggetto che gli appassionati desiderino possedere.
Troppo spesso i dischi prodotti negli ultimi anni sono di una pochezza disarmante, lontani anni luce non soltanto dai grandi capolavori sempreverdi di Beatles, Led Zeppelin o Pink Floyd (giusto per fare qualche nome noto a tutti), ma anche dai classici dei primi anni ’90 di band ormai diventate storiche come Nirvana e Pearl Jam.
Ecco, avere quei dischi copiati non era la stessa cosa che averli in originale, sono dischi che senza la propria confezione, senza la bustina dei testi, senza le foto interne, non hanno senso di esistere.
Alcuni artisti particolarmente sensibili alle innovazioni ed alle tendenze comportamentali dei consumatori hanno capito prima di altri i movimenti del mercato.
I Radiohead sono fra questi ed hanno lanciato a sorpresa questa iniziativa che sta destando scalpore, ma contemporaneamente grande apprezzamento da parte dei fans e della critica musicale.
Vanno a sottolineare che il disco fra breve potrebbe non esistere più come supporto tangibile, bensì come insieme di file scaricabili dal web e trasferibili con tutti i meccanismi ed i metodi proposti ed assecondati dalla moderna tecnologia.
Sarà la morte del disco o l’inizio di una seconda giovinezza?
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