Radiohead
A Moon Shaped Pool
I'm not living, I'm just killing time
Your tiny hands, your crazy-kitten smile
Partiamo dalla fine, che è come partire dagli inizi.
True Love Waits chiude i giochi, undicesimo pezzo del nono disco in studio dei Radiohead, eppure brano vecchissimo, del lontano 1995, ed eseguito live più e più volte, malgrado qui si viaggi in altre dimensioni, senza chitarre ma col pianoforte mattatore ed echeggiante, medesima è la malinconia. Ed è significativo, forse, che torni ora: una canzone invero scritta per Rachel, ormai (da poco) ex compagna di Yorke, che sconsolato cantava e canta just dont leave / dont leave.
Partiamo dalla fine, che è come partire dagli inizi. Come anfora capovolta, che sta in piedi lo stesso. E lo facciamo per sabotare le curiose sistemazioni di Yorke e compagni, che dispongono i pezzi in ordine alfabetico e che così un po stroncano il concetto di album. Partiamo dalla fine, per dire quanto questo disco annulli gli elementi sovversivi. Che non taglia i fili col passato (ci sono agganci con la trascendenza produttiva di Amnesiac, la grazia negli arrangiamenti di In Rainbows, il vuoto interiore di The King of Limbs, la protesta distopica di Hail To The Thief), che ha le stesse sembianze angoscianti, narcotiche, lente, intimiste e disilluse a cui i ragazzi ora uomini di Oxford ci avevano abituati. Le stesse sembianze (ché il miagolio di Yorke è sempre lo stesso; che non è voce, il miagolio, ma è suono anche quello, ed è lamento, tra i lamenti delle note), certo: ma con un senso, attorno, nuovo.
A Moon Shaped Pool (prodotto, come sempre, dal sesto Radiohead Nigel Godrich) è infatti, per gestalt, un disco esteticamente compiuto, una transizione basata su un processo creativo antico, incastonato in una sensibilità adulta (perché no metafisica, in certi passaggi) che sembra a tratti sprigionarsi, librare verso luoghi celestiali. Un lavoro che distilla, qui e là, dosi doppressione e paranoie/denunce sociopolitiche (stay in the shadows / cheer at the gallows / this is a round-up / this is a low-flying panic attack) sul mondo contemporaneo (il motorik brumoso di Ful Stop, summa di groove glaciale kidaiano, tensione HTTT e gioco di specchi à la In Rainbows; il tema e il crescendo darchi Burn The Witch, la quale come idea risale, non a caso, ai tempi di Hail To The Thief), usati come espedienti più che farne temi dominanti.
Un lavoro che tende ad avvolgere ogni cosa, le textures dei brani e i rintocchi di piano a squarciare le tenebre (Decks Dark - Phil Selway grandioso), di magia universale - cascatelle cromatiche, come pioggia terapeutica che lenisce il dolore umano. E se anche cè tragedia, i suoni la rasserenano (Desert Island Disk; la protesta ambientalista di The Numbers; True Love Waits). Sono tornati, di base, a strutture più tradizionali, i Radiohead: a parlare attraverso una musica che pone al centro larmonia tra le parti, invece di destrutturare ogni cosa - il glitch totale di The King of Limbs, così come tutto il lavoro solista e parallelo di Thom Yorke.
In A Moon Shaped Pool lelettronica non è più padrona assoluta; non si erge portabandiera di rivoluzioni musicali postmoderne (Kid A): spesso funge, splendida, da corredo. Un corredo prezioso, che esalta trame (la chitarra spezzettata, i cuori spezzati, il basso/pelli di Identikit; il taglio iberico/bossanova di Present Tense) di folk intarsiato, abbraccia archi minimali in struggimenti trascendentali (Glass Eyes), si fa polvere e tappeto su cui piangere, minimale, estasi e vero amore (True Love Waits). La sola Tinker Tailor Soldier Rich Man Poor Man Beggar Man Thief (qualcosa a cavallo tra lestetica Kid A, fluttuazioni altezza Amnesiac e DIY Tomorrows Modern Boxes) può dirsi completamente dipendente dellelettronica, per scrittura.
È un disco a metà brani già proposti live e b-side ("True Love Waits"), il nuovo Radiohead: la bellissima Present Tense, già nellarchivio dal 2009 e suonata dal vivo con la formazione degli Atoms for Peace, tra monumentali incastri di cori e arpeggi. Anche Identikit, qualcosa Portishead, è nelle scalette dal 2011 (così come Ful Stop): il coro della London Contemporary Orchestra, a metà brano, è tra i momenti più sognanti di tutto lalbum. Orchestrazioni che Jonny Greenwood, ormai veterano delle soundtracks (per i film di Paul Thomas Anderson, che firma la regia di Daydreaming), mette davvero ovunque. Potenziando il tratto sognante, non epico, del disco; tratto dominante nellarpeggio per chitarra acustica di Desert Island Disk - la quale ricorda il Nick Drake più inquieto.
Daydreaming, filmica e ipnotica, allegoria della caverna, cuore pulsante del disco, mescola il dramma esterno a quello tutto interiore di Thom, la musica russa alla fine; ed è il classico gioco della voce che è riprodotta al contrario, pare dica Efil ym fo flah, quindi Half of My Life, le ventitré porte che potete contare e attraversare nel video. Con lo spettro di Rachel (the damage is done) che ingombrante torna.
Potrebbe sembrare un disco posticcio, questa prova del nove dei Radiohead, visto quanto materiale appartenga al loro passato e quanti rimasugli accolga. Ma a noi piace pensare che Yorke sia come un poeta che, per scelta, ha scartato nel corso dei lustri alcune liriche. Senza bruciarle, senza dimenticarle, ma solo perché ha ritenuto non fosse quello il loro momento di brillare. È qui, dunque, in A Moon Shaped Pool, è nel riflesso della luna sulle acque tremule di una piscina, che i Radiohead hanno ritenuto opportuno divulgare quelle canzoni. E farle bruciare di una nuova e giusta luce.
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