Frank Zappa
Burnt Weeny Sandwich
Non siamo qui per tessere le lodi dello zio Frank ma solo a narrare brevemente qualche sua vicenda su disco.
Burnt Weeny Sandwich è uno di quei dischi che escono belli tra i belli, ricchi e sfavillanti che dopo l’ascolto ci fanno sentire sazi e soddisfatti.
WIPLJ è il miglior boogie mai sentito, sincopato e allegro, leggero ed efficace, divertente e divertito come dev’essere un brano del genere. Si passa così alla prima sbornia: il sax di Overture to a Holiday in Berlin è qualcosa di straordinario che s’inserisce e completa perfettamente l’atmosfera unica creata da Zappa: qualcosa di simile ad un locale fumoso pieno di gente e ballerine in una Germania post-bellica (probabilmente).
A seguire il tema da Burnt Weeny Sandwich, tra un organetto da strada e percussioni che vanno e vengono, è della chitarra del Nostro che s’immette e va, riappare e scompare, curva di lato e non si lascia mai prendere, anche perché la rumoristica collabora con sapienza al nascondino. Ed è l’assaggio chitarristico di quello che sarà lo Zappa degli anni ’80 e ’90.
La conclusione della prima parte del lavoro (lato A del vinile) riprende il tema di Holiday in Berlin (Full Blown) e i sax giocano alla maniera di Zappa in un caleidoscopio che, sinceramente si fa fatica a descrevire: i rimandi e le citazioni sarebbero mille, ma non dei nomi del mondo della rock music, piuttosto del jazz e della classica, di luoghi e di eventi, della storia, quella con la s minuscola s’intende (ovviamente questa spinta centrifuga e inclassificabile è una costante di tutta la prima produzione appiana, fino alla metà dei ‘70).
La settima traccia inizia con Aybe Sea praticamente inclassificabile tra Debussy e Satie soprattutto, ma con molti Stati Uniti tra le note: direi che fa venire in mente le coste del continente americano, sia del versante atlantico che del pacifico, una di quelle immagini di volo dall’alto alla Bruce Palmer (The Cycle is Complete –per chi non lo conoscesse, lo recuperi, disco unico).
Poi c’è la splendida Little House I Used to Live In, che inizia con il piano stupendo di Ian Underwood per virare in un motivetto pop, che prima fa il verso a se stesso in tutti i modi possibili e poi, dopo vari e diversi fuochi d’artificio (e di nuovo qui evitiamo le citazioni e i rimandi sia per la quantità, sia per la complicatezza dell’operazione), approda ad un blues stratosferico con il violino di Don "Sugarcane" Harris che vola parecchio alto su una base ritmica meravigliosa.
Verso il finale collage bellissimo con anche una citazione live, et voilà.
Il lavoro si chiude con Valerie, branetto doo wop classico di Zappa, così tanto per sdrammatizzare il tutto fischiettando un motivetto.
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