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R Recensione

8,5/10

Ivano Fossati

Discanto

È terra, compagni, è terra!

Terra secca da guardare

Buona per camminarci sui ginocchi

E per pregare

 

Passati gli anni ottanta, archiviate (ma non troppo) le sue derive sintetiche, Ivano Fossati si affaccia agli anni novanta dopo quel favoloso disco che è La pianta del tè in cui la componente etnica si fa definitivamente preponderante. Due anni dopo arriva Discanto, e  la maturità del nostro è finalmente compiuta: se infatti nei precedenti lavori a gioielli indimenticabili si andavano alternando episodi non troppo convincenti, è esattamente qui che la compattezza qualitativa fa sì che ai posteri venga consegnato quello che è forse il suo grande capolavoro. Discanto, ovvero quel tipo di genere musicale sacro in cui la polifonia porta il controcanto a rivaleggiare e vincere con la cosiddetta "vox principalis", che è più che altro uno spunto su cui costruire un lavoro universale ed al contempo profondamente intimista. Mari infiniti di gente, viaggi più o meno interiori, amori e analisi sociale; di questo e di tanto altro ancora sentirete declamare Ivano Fossati in quello che è uno degli apici della sua poetica, l’album in cui maggiormente trova sfogo la vena intellettuale del cantautore e si riesce ad amalgamare magicamente con quella più popolare . Di certo un attacco come quello di Lusitania rimane di diritto fra gli annali della musica d’autore. Lirica di terra, appunto, di ritorno e di lontananza, di amore verso una fetta di mondo “dimenticata da pagine intere” che si innalza epica in un ritornello che è vento impetuoso, sensazione di sommessa umiltà verso ciò che è inevitabilmente così grande e irraggiungibile. Al primo capolavoro segue la title track , altro pezzo da novanta a passo di cavalcata con il nostro nelle vesti di saggio ma umile cantore di tutto ciò per cui vale la pena vivere, in un elenco mai banale che si fa ora più impetuoso, ora più tenue in cambi di tono che seguono idealmente il passo incerto e vitale di un’esistenza a metà tra arte e passioni. L’influenza della world music, principalmente influenze sudamericane, riesce a non coprire mai troppo l’intento lirico delle musiche che si presenta perfettamente stilizzata in Italiani d’Argentina, con la chirarra spagnoleggiante ed il contrappunto di flauto che sorreggono la melodia sofferta in un’alchimia di nostalgie di lontananza e di suggestioni esotiche. L’anima più ”culturale” si manifesta in Lunario di Settembre, che riprende in mano una sentenza per stregoneria del diciassettesimo secolo e ne crea un brano in bilico costante tra il linguaggio burocratico antico proprio dell’inquisizione e quello più lirico dell’intermezzo meraviglioso da cui poi si torna al tema principale con poche scale di piano elettrico e si arriva all’inevitabile condanna ed al resoconto recitativo finale. È evidente che l’episodio riportato non sia fine a se stesso, ma anzi si insinua in una linea ideologica che percorre a tratti tutto l’album: ovvero la condizione femminile che anni di lotte politiche non sono riusciti a risollevare in maniera giustamente equa. Allo spettro dell’inquisizione si abbracciano quindi le liriche dei tre brani “femminili” di Discanto, ovvero la cadenzata Piumetta, la finale Albertina e la filastrocca Unica rosa; pezzi facili, per così dire, ma la cui componente popolare, quasi elegiaca, riesce a riportare tutto il lavoro sulla Terra, dopo pezzi intellettuali e ostici; e Fossati riesce a farlo con suggestiva capacità di sintesi dando più di uno spunto alle future generazioni cantautorali (si ascolti Capossela anche alla luce di questo). Confessione di Alonso Chisciano è solo superficialmente dedicata a Don Chisciotte, ma forse più e ancora pesantemente descrittiva di quella fuga dalla realtà, decisione di abbracciare la follia in distacco dalla società. Musica perfettamente calibrata all’enfasi del testo stupendo in cui fa più volte capolino il tema del deserto (interiore) che ci introduce l’altro capolavoro Passalento. Introspezione personale e universale in un brano sofferto e musicato con passo incerto ma regolare in cui il jazz si mescola a richiami popolari per un naufragio nella disperazione tranquilla di chi sta tirando le somme della propria vita più o meno vissuta.

Un album intenso e colto, pervaso da un senso di universalità e dal ritmo di musiche perfette, che ci permette di ascoltare forse il migliore Fossati; autore comunque da approfondire e a cui le presenti generazioni stentano, ahimè, ad affidarsi, ma che per classe e tempra è e sarà sempre tra i grandissimi della musica italiana.

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Voto degli utenti: 9,3/10 in media su 3 voti.
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C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Paolo Nuzzi (ha votato 9 questo disco) alle 10:02 del 25 febbraio 2016 ha scritto:

Bravissimo, ottimo recupero. Il vertice di Ivano, insieme a "La pianta del te'" (da recensire assolutamente) e "Lindbergh". Una parabola artistica che ha il suo ultimo colpo di coda in "Lampo Viaggiatore", difatti dopo tre dischi di buon mestiere, Ivano annuncierà il ritiro dalle scene. Complimenti per la recensione e grazie per aver parlato di uno dei miei artisti italiani preferiti.

nino.gal (ha votato 9 questo disco) alle 10:39 del 13 novembre 2016 ha scritto:

Per me il miglior lavoro di Fossati. Ricordo che mi trovavo a Catania per motivi di studio e per caso ho sentito la canzone Discanto, non appena ho finito di ascoltarla sono corso in negozio a comprare il vinile.