Lucio Battisti
Lucio Battisti, La Batteria, Il Contrabbasso, Eccetera
La storia ci insegna che esistono due Lucio Battisti diversi.
Il primo ha dominato le classifiche per diversi anni, a forza di singoli ancora oggi patrimonio inestimabile della musica italiana e di ritornelli magistrali.
Il secondo si è dedicato a creazioni complesse, cervellotiche e astratte, prendendosi anche la briga di sfidare la poesia ermetica.
In mezzo? Una lunga, faticosa metamorfosi, con alcuni momenti meno esaltanti.
Beh, non è proprio così. Anzi, volendo essere precisi, esistono forse tre versioni diverse di Lucio Battisti, perché la fase intermedia ha saputo in realtà brillare esattamente come le altre due.
Tanto da rappresentare un felicissimo, atipico ibrido.
Lucio Battisti, La Batteria, Il Contrabbasso, Eccetera è, con ogni probabilità, il momento più alto del sottostimato Medioevo battistiano.
Il rock, il blues, la psichedelia: tutto grandioso e tutto interpretato con originalità (aggiungiamoci pure le maestose visioni sudamericane de Il Nostro Caro Angelo e di Anima Latina e il quadro è completo).
Ma nel 1976 Battisti guarda oltre: si è innamorato dei ritmi farraginosi del funk, del basso slabbrato e dei suoi complessi incastri strumentali (la predominanza del ritmo, del resto, è preannunciata in modo chiaro dal titolo dell'album).
James Brown, Sly Stone, e pure la disco music che spopola sulle piste da ballo, con la cassa in quattro quarti e le tastiere che volteggiano: Lucio, negli Stati Uniti, studia le figure ritmiche che dominano il groove, e le fa proprie.
La sua grandezza, come sempre, sta nella capacità di rileggere tutto in chiave battistiana: le novità più elettrizzanti dell'universo anglo-americano vengono in qualche modo assorbite e deformate, sino a risultare quasi irriconoscibili.
I risultati sono strabilianti: Lucio Battisti, La Batteria, Il Contrabbasso, Eccetera è fra i dischi più importanti e originali dell'autore, avanti anni luce rispetto alla concorrenza del belpaese, capace ancora una volta di sbalordire il pubblico e la critica (e annovera collaboratori di prim'ordine: su tutti, Ivan Graziani alla chitarra).
Ancora Tu è il singolo spacca-classifiche. La sezione ritmica si contorce in un discorso incessante e spigoloso mentre il genio melodico del reatino incastra una progressione impeccabile, costruita su brevi incisi, priva delle grandi aperture del passato eppure capace di conquistarti al primo colpo (tanto che ancora oggi si tratta di uno fra i suoi pezzi più conosciuti). Quindi, base ritmica funk, disco music, il cantante che si traveste da narratore e fa a pezzi la melodia: il discorso suona familiare, solo che non siamo a New York dentro un Bloc Party, e gli anni '80 devono ancora prendere forma (ok, sto esagerando, ma fino a un certo punto).
Un Uomo Che Ti Ama è il pezzo che prediligo, perché la voce di Lucio diventa ancora più esile e astratta del solito, pare vaporizzarsi nel nulla mentre contrabbasso e chitarra si inventano un interplay disco-funk spettacolare. Poche note, un riff semplice che materializza una vibrazione quasi fisica. Il tema oggetto di attenzioni è sempre quello, ma non importa, perché Lucio vive ancora le sue narrazioni in prima persona (quasi si trattasse di un continuo, inestricabile monologo interiore) e le rende sempre e comunque affascinanti.
La Compagnia è una delle rarissime cover dell'autore, e si tratta di un pezzo un filo più tradizionale, assurto agli onori della cronaca degli ultimi anni in virtù di una (ulteriore) cover di Vasco Rossi su cui preferisco non pronunciarmi. La verità è che un uomo disperato per amore riscopre la gioia grazie ad un gruppo di allegri ubriaconi rintanati in un bar, e allora vi dico che un pezzo così ogni tanto è un tonico efficace, ti solleva in aria e ti ci lascia per un bel pezzo (la voce di Battisti, poi, si sposta verso acuti mai sentiti, quasi impossibili per un uomo).
Se Dove Arriva Quel Cespuglio è un filo meno calibrata e zoppica un po' nella melodia, Io Ti Venderei è un altro piccolo capolavoro, uscito dalle sessions di Anima Latina. L'arrangiamento è più articolato e lussureggiante, la voce in crescendo stavolta non perde un colpo, percussioni varie e sintetizzatori si abbracciano a meraviglia, il finto cinismo del testo è una scossa di adrenalina.
Il brano più moderno e impressionante è però Il Veliero, che si divora in pochi secondi un decennio intero e si muove fino a Chicago, con tanto di Summer of Love, piste da ballo e piatti che danzano senza pudore. Sì, sto parlando di house, e sfido chiunque a non farci un pensierino: una premonizione house che non ha bisogno di campionatori e diavolerie, il che rende l'impasto ancora più sorprendente.
Ma fino ad un certo punto: del resto Lucio vedeva il futuro, no?
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