Joanna Newsom
Ys
Mi imbarazza un pochettino parlare di un disco controverso come questo di Joanna Newsom, artista giunta alla seconda prova e improvvisamente fatta oggetto di amore ed odio da parte di un pubblico sorpreso da un lavoro personale e sicuramente non facile.
Mi imbarazza perché sono stato colpito da questa arpista dalla voce particolare sin dalla suo primo disco, il delicato "The Milk-Eyed Mender", ed apprezzo molto questo monumentale doppio dal titolo misterioso che richiama antiche leggende e che contiene solo cinque brani di notevole durata.
Ho parlato di amore ed odio... Spero di esagerare, naturalmente, ma ascoltando giudizi e discussioni ho percepito chiaramente che una parte del pubblico non ha apprezzato l'opera e si è spinta a giudicarla secondo parametri eccessivamente soggettivi, insistendo in particolare sulla noia che l'ascolto provocherebbe, sulla scarsa originalità dell'impresa e, dulcis in fundo, esprimendo più di una riserva sulle doti canore della Newsom, colpevole secondo alcuni di snocciolare versi su versi senza mai fermarsi per tutta la durata del disco.
Si tratta naturalmente di giudizi personali, che tuttavia dimostrano come l'album non abbia lasciato il pubblico indifferente. Anzi, a dispetto di chi punta il dito contro il download ritenendolo responsabile del calo di vendita dei dischi originali, dobbiamo far notare un fatto abbastanza emblematico: nonostante "Ys" fosse disponibile in rete due mesi prima dell'uscita è andato subito esaurito. La benemerita etichetta Drag City, nobilitata dalla presenza in studio di Steve Albini e di un compositore del calibro di Van Dyke Pars, rispettivamente produttore e responsabile degli arrangiamenti orchestrali, probabilmente ha sottovalutato il potenziale commerciale dell'album, che effettivamente sembrerebbe provenire da quei territori oscuri in cui il passaparola del pubblico si fonde con le nebbie impalpabili del "trend". Probabilmente non è casuale il contemporaneo successo di Sting alle prese con le ballate di Dowland o il nuovo interesse nei confronti di gruppi dalla chiara matrice folk come i Pentangle.
"Ys", abbiamo detto, non è un disco facile. E' un'opera fatta di melodie orchestrali mai invadenti, di ipnotiche trame psichedeliche, di suggestioni poetiche intense, ma soprattutto dominata dall'interiorità dell'autrice, che accompagna il canto, drammatico come quello di un bardo, con le note di cristallo dell'arpa.
Il primo termine di paragone che oserei proporre è con il capolavoro di Van Morrison "Astral Weeks": suggestione musicale simile, atmosfere sfocate, rugiada, giardini bagnati di pioggia, tormento e pace interiore, lirismo e visionarietà.
Il primo brano, "Emily", dedicato alla madre, è la prima delle cinque lunghe canzoni. Canzoni, certo, non suites... La costruzione musicale si articola in strofe e ritornelli, e l'orchestra di venti elementi sullo sfondo consuma liquide evoluzioni senza mai passare in primo piano, quasi si trattasse di un monologo interiore. Chi rimprovera al disco una eccessiva verbosità dovrebbe considerare questo aspetto di trance ipnotica con la quale l'artista si immerge nel proprio mondo, dove personaggi reali convivono con esseri da fiaba, come nell'apologo "Monkey & Bear". L'"effetto allucinatorio" (espressione della Newsom) dato dall'orchestra contribuisce a rendere ancora più straniante il suono, eccellentemente mixato da Jim 'O Rourke. In "Sawdust & Diamonds", tuttavia, l'orchestra tace, e la voce di Joanna duetta con la sola arpa. Di costruzione più complessa sono gli altri due brani, "Only Skin" e "Cosmia". In quest'ultimo la Newsom duetta con Bill Callahan.
Ciò che resta al termine dell'ascolto è difficile da esprimere: il ricordo di una melodia in dissolvenza, una farfalla, un tendaggio rosso, incisioni sbiadite, gli occhi di Joanna che riflettono ricordi lontani.
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