Kraftwerk
Trans-Europe Express
TEE. Trans Europ Express. Un nome che forse non dirà più nulla ai viaggiatori di oggi, abituati a tranquille escursioni low cost in una Europa oramai senza frontiere, ma che dagli anni Cinquanta ai Settanta del secolo scorso evocava eleganti e quasi epici viaggi tra Olanda, Lussemburgo, Francia e Germania, attraverso una mitteleuropa uscita dalla guerra e da una situazione storica che oggi, purtroppo?, ci è assai difficile immaginare. I TEE, a trazione diesel, celebri per i vagoni ristorante, il controllo doganale a bordo e la precisione degli orari, nonché per il rifiuto quasi snobistico della seconda classe, sono i protagonisti di questo sesto album dei Kraftwerk, gruppo formatosi nel 1970 a Düsseldorf e convertitosi nel giro di pochi anni da un ostico Krautrock alla musica elettronica, che poi, grazie ad un semplice quanto geniale processo alchemico, sublimerà in un rivoluzionario pop, creando a tutti gli effetti un nuovo genere musicale che avrà successo planetario.
Trans-Europe Express. I treni e l'Europa. Ritmi meccanici e scampoli del romanticismo tedesco, Schubert e sequencers, danze immobili di manichini e labirinti di specchi. Il gelido mondo in cui Ralf Hütter e Florian Schneider (voce e sintetizzatori), insieme a Wolfgang Flür e Karl Bartos (percussioni elettroniche), ci guidano con la leggerezza di dandies disincantati, usciti dalle fotografie rétro che caratterizzano elegantemente la copertina, è fatto di alienazione e di orgoglio da intellettuale mitteleuropeo, sentimenti contrastanti che portano alla contemplazione di una società in decadenza ma alla quale, tuttavia, ci si sente legati da forti radici culturali.
L'album (pubblicato in tre edizioni: oltre a quella internazionale con testi e titoli in inglese, alla quale con spirito assolutamente poco mitteleuropeo faremo riferimento, anche perché è la versione comunemente reperibile, ve ne sono una in lingua francese ed un'altra, naturalmente, in tedesco), si apre con Europe Endless, descrizione di un'Europa dove si vive una vita senza tempo tra parchi, hotel, viali, cartoline illustrate, eleganza e decadenza. Il battito metronomico delle percussioni elettroniche sembra imprigionare la melodia dei sintetizzatori, ed il vocoder aggiunge un ulteriore tocco di straniamento al canto freddo e distaccato.
Protagonisti del prossimo lavoro dei Kraftwerk saranno i robots, ma già in questa traccia l'uomo sembra tramutarsi in una macchina, un calcolatore che elabora ancora qualche impressione del mondo esterno e ne elenca freddamente i risultati su di una scheda perforata. Hall of Mirrors si apre con un arpeggio minimale, che prosegue per tutto il brano, al quale si sovrappone un pattern ritmico di sapore quasi industriale, poi una melodia fatta di note brevi e gelidamente scandite sullo stesso tempo, e infine una voce che recita: The young man stepped into the hall of mirrors/ Where he discovered a reflection of himself. Il cantato si fa lugubre e ripetitivo, con il lento ritornello che sembra continuare all'infinito, mentre il giovane si innamora della propria immagine che, deformandosi, si tramuta in una nuova personalità, quella dell'artista: The artist is living in the mirror/ With the echoes of himself. La prima facciata si conclude con l'inquietante ma nello stesso tempo orecchiabilissima Showroom Dummies, introdotta da un sommesso eins zwei drei vier: dei manichini si guardano intorno, cambiano posa, rompono la vetrina e girano per le strade della città: We go into a club /And there we start to dance / We are showroom dummies / We are showroom dummies... La danza ossessiva dei manichini è una coda geniale.
Il lento incedere del Trans-Europe Express occupa quasi tutta la seconda facciata del disco: il brano omonimo e il successivo Metal on Metal sono costruiti sulla stassa base ritmica, che mimeticamente riproduce il viaggio del treno attraverso un'Europa vista dal finestrino quasi come fosse un'acquario: Parigi, poi Vienna ed infine Düsseldorf, dove assistiamo ad un inatteso, forse silenzioso, incontro con Iggy Pop e David Bowie. Tra le varie stazioni, naturalmente, viali, hotel eleganti e decadenti, giovani artisti e intellettuali che assumono un'altra personalità senza però riuscire a staccarsi dagli echi del proprio io originario, uomini-manichini che danzano sui ritmi sempre uguali delle città contemporanee (un po' come gli operai di Cleveland nei capolavori dei Pere Ubu, The Modern Dance e Dub Housing). Franz Schubert coniuga la tradizione romantica tedesca con l'impersonalità inquietante della musica elettronica, e culmina nel brevissimo Endless Endless, dove le due parole sono scandite da una voce meccanica. La presenza umana sembra sparire completamente e fare posto alla macchina. The Man-Machine, non a caso, sarà il successivo disco dei Kraftwerk.
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