R Recensione

7/10

Phideaux

Number Seven

Nome sconosciuto ai più (sottoscritto compreso, almeno sino a non più tardi di un paio di anni orsono..) il polistrumentista statunitense Xavier Phideaux ha invece un curriculum discografico di tutto rispetto.

Come suggerisce neanche troppo velatamente il titolo, ‘Number Seven’ è il settimo album in studio per la band intitolata a suo nome. I Phideaux sono autori di quello che potremmo tranquillamente definire un ‘classico’ progressive rock di stampo sinfonico, quasi barocco nella (ri)proposizione di suoni e strumenti rigorosamente ‘vintage’;  Se la memoria non mi inganna, Number Seven costituisce la terza (e conclusiva) parte di una trilogia a sfondo ecologista di Xavier Phideaux iniziata nel 2006 con l’album The Great Leap e culminata due anni orsono nell’ottimo Doomsday Afternoon. Ed in effetti quest’ultima fatica non si discosta troppo dalle coordinate tracciate dal suo acclamato predecessore; da un punto di vista musicale c’è una stretta parentela con i brani del passato più recente salvo notare la mancanza di quella dimensione orchestrale che ricreava un ‘mood’ a suo modo unico e rendeva particolarmente affascinante il risultato finale. In Number Seven i nostri hanno optato per rinunciare al fattore orchestra e questa assenza non passa inosservata lungo i 67 minuti del disco.

Intendiamoci… siamo di fronte ad un album sicuramente riuscito nell’insieme; gli intrecci vocali del buon Xavier coadiuvato come sempre dalle splendide voci femminili di Ariel Farber e Valerie Gracious sono emozionanti, così come è sempre riconoscibile al primo colpo lo stile dell’artista in grado di plasmare in un ‘unicuum’ personalissimo svariati riferimenti musicali che partono dai grandi classici della storia del prog quali Genesis, Yes e Jethro Tull. Il tutto sempre all'insegna della misura, senza mai strafare o complicare troppo melodie ed arrangiamenti, evitando saggiamente il rischio di sfiancare l’ascoltatore.

Singolare è sicuramente anche la ‘trama’ delineata attraverso le liriche dell’album: come accennato in apertura di recensione, i temi affrontati e improntati all’attenzione per l’ambiente in cui viviamo, sono ancora una volta tutt’altro che superficiali e vengono svolti in chiave metaforica, preferendo utilizzare dei simbolismi che sta a ciascuno di noi saper cogliere ed interpretare ( il personaggio del ghiro protagonista della storia che simboleggia in qualche modo il cittadino ‘dormiente’ adagiato nella sua comoda routine, e che si nutre di propaganda e comode credenze senza assumersi alcuna responsabilità).

Ma Phideaux è anche, da tempi non sospetti, un grande appassionato di ‘progressive’ nostrano e questa passione si palesa nella curiosa  ‘Storia Senti’ cantata interamente in italiano (ancorchè maccheronico), che strappa anche qualche risatina divertita, per via di una traduzione quantomeno ‘raffazzonata’. Molto riuscita ed evocativa è anche la traccia precedente ‘Love theme from Number Seven’ che in sette minuti di cavalcata progressive riassume un po’ tutti i temi del disco. Certamente, chi cerca nella musica l’innovazione a tutti i costi, non saprà che farsene di un disco siffatto che poco o nulla lascia in dote in termini di mero ‘valore aggiunto’. Ma è altresì un album di sicuro fascino per chi è ancora in grado di emozionarsi di fronte alla bellezza della semplcità.

Probabilmente, il mondo (non solo sonoro) che Xavier Phideaux dipinge nei suoi dischi è un mondo che non esiste più. Ciononostante, è un mondo oltremodo affascinante e del quale si sente una impagabile nostalgia.

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TheManMachine alle 12:17 del 11 novembre 2009 ha scritto:

Artista interessante. Bella recensione. A chi volesse conoscere la musica di questo autore suggerisco anche "Ghost Story", gran bell'album del 2004. Questa nuova release me la procurerò.