Genesis
The Lamb Lies Down On Broadway
Ai tempi dei dischi in vinile, la cui durata non andava oltre i cinquanta minuti, la scelta di pubblicare un album doppio riconduceva quasi sempre ad uno di questi due motivi fondamentali: la voglia di esagerare (in genere specchio di una fase di carriera particolarmente gratificante esempio clamoroso Tales From Topographic Oceans degli Yes) oppure la riluttanza a rinunciare a una parte delle musiche approntate (a costo di grattare il fondo del barile per completare la scaletta esempio lampante Physical Graffiti degli Zeppelin).
Il disco dellAgnello dei Genesis può essere fatto rientrare in entrambi i casi e in nessuno di essi, specchio comè di una situazione interna conflittuale tra il frontman Peter Gabriel, decisamente dellidea di voltar pagina riguardo allapproccio musicale e lirico del gruppo, ed i suoi compagni, al contrario ancora fortemente affezionati allo status quo fiabesco e barocco che aveva ancor di recente cominciato a dare buoni frutti, dopo i primi anni di dura gavetta.
Per i gabrielliani radicali le bizze del cantante (il quale aveva mollato tutto e tutti ad inizio progetto per correre dietro a lusinghe cinematografiche, salvo poi tornare alla base allorquando le stesse non si erano concretizzate; che aveva preteso lesclusiva delle liriche dato che il fantasy concept newyorkese alla base dellopera era farina del suo sacco) stanno a dimostrare il nobile afflato artistico, il coraggio nel non adagiarsi sugli allori, la creativa inquietudine del loro idolo. Per tutti gli altri cè da mettere in conto anche una buona dose di ego (da parte di tutti, ma scatenato dalle iniziative di Peter), accumulatasi dopo lesplosione e gli immediati riconoscimenti al suo talento scenico, vitale per il lato comunicativo e spettacolare dei Genesis ma col difetto di porre in eccessiva ombra i compagni ed i loro ruoli e meriti musicali.
Stante per tutti lo status di crisi nel quale il presente album fu partorito, quello che conta in definitiva è il giudizio sul suo valore, sia assoluto che relativo al resto del repertorio. E qui si oscilla dalla magnificazione ed elevazione ad assoluto capolavoro di carriera a opinioni assai più guardinghe, a sostegno delle quali vengono evidenziati presunti scricchiolii strutturali nonché carenze tecniche e concettuali dellopera.
Ben rammentando il personale sottile, moderato ma indubbio senso di delusione avvertito ai primissimi, antichi ascolti dei due LP, una sensazione istintiva mai più rovesciata dalla successiva, completa assimilazione dellopera e dalla messa a fuoco delle sue molte pagine, provo ad avanzare un elenco di spunti critici e tecnici su cui razionalmente appoggiarsi per circostanziare ed affinare il proprio, soggettivo parere:
La qualità del suono, del missaggio, della produzione segna un deciso passo indietro rispetto al disco precedente Selling England By The Pound. Non è questione di maggiore immediatezza o di salutare asciuttezza: le impressioni sono piuttosto di fretta, disagio, non-coesione.
A proposito di ciò, qualcuno è lì per fare il compitino, per niente convinto dellandazzo e delle scelte musicali, e si sente. Ad esempio, il chitarrista Steve Hackett non esegue niente di memorabile, non una sola magia delle sue in tutto lalbum, contrariamente ai dischi precedenti (e seguenti).
Vi sono novità timbriche (il basso distorto e potente à la Yes di Michael Rutheford ad esempio, comunque occasionale e mai più riproposto in seguito) e una generale sensazione di arrangiamenti più grezzi e naif. Per alcuni è lanticamera di intuitive aperture a mondi futuri (new wave?), per altri più prosaicamente un momentaneo offuscamento di personalità, per tutti sicuramente uno scarto (nel senso di deviazione) dallevoluzione logica del gruppo; fenomeno fatto comunque pienamente rientrare col successivo A Trick Of The Tail, che ad onta del cambio di voce solista avrà unaria di vera e propria restaurazione dei Genesis più classici, con tutti i loro irreali favolismi già a partire dalla copertina, generose aperture strumentali a soppiantare e far riprendere fiato al cantante e una produzione nuovamente curata e allaltezza.
Laspetto letterario dellopera è quanto di più ingarbugliato e faticoso vi sia da seguire, ma non importa: si può anche fare a meno di capirci qualcosa e godere della sola musica, ché la voce di Gabriel e la sua interpretazione sono bellissimi dovunque e comunque vada a parare coi testi. Solamente, questo è un album troppo cantato, almeno per il giusto equilibrio di una formazione dal grandissimo fascino strumentale come quella dei Genesis. Insomma, succede in grande stile quello che già era capitato episodicamente in occasione del brano The Battle Of Epping Forest nellalbum precedente: il cantante piega il resto del gruppo alle sue elucubrazioni ed ai suoi sbrodolamenti letterari e vocali, i compagni lo lasciano fare ma si demotivano e non curano fino in fondo la loro parte.
Lopera è, beninteso, ricca di belle cose, di grandi canzoni, specie la sua prima parte, il primo disco: trovo fenomenali, pienamente in evidenza in qualsiasi scaletta con il meglio dei Genesis, composizioni come il prologo The Lamb Lies Down On Broadway con lindimenticabile arpeggio pianistico a mani sovrapposte di Tony Banks, come la succedente Fly On The Windshield e la ripresa del suo tema nella seconda parte di Lilywhite Lylith, fino a quel punto molto beatlesiana. Come lobliqua, tesa e dinamica In The Cage contenente il migliore assolo al sintetizzatore di Banks, come ancora la graffiante Back In New York City, nonché la celeberrima e fluttuante The Carpet Crawlers, che pur ruffiana e inflazionata rimane episodio simbolico dellopera proprio grazie alla sua accessibilità a tutti i livelli. Indimenticabile infine la romanticissima progressione pianistica di Anyway, cantata da Peter da brivido, col cuore in mano: mia personale preferenza fra tutti e ventitré i titoli.
Parallelamente, vi sono una quantità di composizioni e passaggi ben al di sotto dello standard (altissimo, in quel periodo) del gruppo, fino allindubbio insorgere di uninedita noia, con il progredire dellascolto della seconda parte dellopera, via via che si fa più introspettiva e ostica sia liricamente che musicalmente e finisce per essere definitivamente invasa, quasi tartassata dagli sproloqui di Peter. A questo proposito, ad un certo punto su In The Rapids parte una nota ascendente, in portamento, del sintetizzatore di Banks, missata in maniera completamente errata a un volume ridicolmente alto, ma che pare quasi lasciata così per far dispetto al cantante, così alta ed invadente ed al suo verboso incrociare sopra tutte le musiche allestite dai suoi colleghi. Il vizio di Gabriel di mettere strofe e versi anche sopra gli assolo ed i passaggi strumentali degli altri quattro è rimasto proverbiale ci penserà persino la futura carriera solista del nostro a fornirne la conferma: sempre grandissimi musicisti ad accompagnarlo, ma guai a chi parte in assolo!
Per concludere, il cul-de-sac nel quale i Genesis si ritrovano a causa degli aneliti teatrali e multimediali del loro frontman, dura lo spazio della tournée promozionale allalbum (102 stressanti e interminabili date). È chiaro che a quel punto la dimensione artistica del cantante è tale da non poter tollerare, ed essere tollerata, da compagni davventura alla pari e troverà da allora in poi il supporto di musicisti prezzolati per stare a completa disposizione delle sue voglie.
Coerentemente, Peter Gabriel dopo The Lamb toglie per sempre il disturbo (era dimissionario prima ancora che partisse la relativa tournée) e se ne va per la sua strada, ma per ironia della sorte, dopo aver iniziato la carriera solista dal punto in cui era arrivato coi Genesis, e cioè in un tripudio di costumi e teatralità, il suo gusto ben presto si evolverà verso forme più stringate e tanti altri interessi (non parliamo poi di ciò che accadrà ai Genesis senza di lui e senza Hackett, non subito ma di lì a poco ben di peggio).
Estrapolando i suoi tanti episodi intrisi di suggestione e qualità (oltre a Gabriel, anche Tony Banks è qui in perfetta efficienza e giganteggia qua e là), il giudizio di chi scrive su questopera sarebbe ottimo, ma un album concept nasce e vuole farsi ascoltare tutto per intero, senza sottoascolti. Ed io, come già scritto, alla quarta facciata e provenendo dalle prime tre, mi ci annoio anche, con questalbum: solo buono, allora.
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