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R Recensione

8/10

Digi G'Alessio

The Cinar Session

Per molti la sorpresa sarà scoprire che in Italia esiste una scena underground wonky/abstract/dubstep viva e pulsante, fatta di realtà sconosciute ai più e talenti da mettere invidia a chiunque. C'è un vero e proprio esercito che avanza quasi sotto silenzio, lento ma inesorabile, e sgomita a colpi di uscite validissime cercando in tutti i modi (soprattutto tramite il web, ovvio) di raggiungere l'ascoltatore esterofilo e incuriosirlo ad un solo primo ascolto che gli scateni l'inevitabile smania del rastrellamento a tappeto: nomi che si vanno affermando con forza come Ad Bourke, Aquadrop, Planet Soap, Morpherground, El Climatico, Manuele Atzeni, Johnny Boy, giusto per citarne una manciata da cui far partire le vostre ricerche.

La vera sorpresa, però, è che uno come Digi G'Alessio (non stupitevi del nome: va in giro anche sotto i moniker Paura Lausini, Lucio Dallas e Bobby Kebab) ha passato gli ultimi due anni a pubblicare praticamente un disco a bimestre, sempre attraverso il suo blog bandcamp nel più classico stile web 2.0, ed è finito per esser conosciuto più nelle webzine estere specializzate che in patria. Dal primo album 1994 ad oggi Digi, al secolo Cristiano Crisci, ha dimostrato di poter masticare e accartocciare abstract hip-hop, tappeti breakbeat, ingerenze funk, incursioni baleariche e carattere electro con una scioltezza che farebbe inarcare il sopracciglio al più navigato dei producers londinesi. Oggi può essere considerato una delle colonne portanti della community italiana, con un seguito sempre crescente e rafforzato dalla potenza dei suo live set: orge scatenate di basse frequenze per rispondere alle sempre più impellenti esigenze disalienanti del popolo electro.

The Cinar Session non può definirsi un buon rappresentante dello stile di Digi G'Alessio, bensì la sua prova più estrema, quella che meglio delle altre può lasciar intendere la folle vena produttiva dell'artista fiorentino. Come a voler cristallizzare nei sei pezzi qui presenti le basi migliori da cui partire nei live act per poi perdere ogni freno. Dunque se siete interessati ai moods eleganti di Lukid o ai beats debordanti di Samiyam, passate a procurarvi Love, Beats and Piña Coladas o Shiny Brazils, perché questa è roba di tutt'altra durezza. Altro che wonky: una Morning Jam With Darth Vader sgretola qualsiasi linea di condotta bass-guided, con frustate imponenti a dirigere distorsioni wobble che ti afferrano nelle viscere. È una struttura che scommette su ciclicità da assuefazione sulle quali poter giocare in piena libertà: in Gustavo Rol la sola attesa indotta sull'ascoltatore, sempre soddisfatta, è che il tempo scandito rimanga costante, in modo da godere appieno delle acrobazie (dis)articolate e (in)disturbate di matrice robotica. E il volume si impenna.

C'è una precisa filosofia dietro a combinazioni sonore di tale impatto, e se ci si vuole improvvisare novelli Reynolds (a proposito: lui stesso identifica il nuovo wobble come l'area più innovativa del filone dubstep) è possibile divagare nei risvolti psico-sociologici del caso: Keith No More non è soltanto acidità malata e dissonanze fidget, ma più in generale l'emblema violento della notte inoltrata, quando sotto la console si presenta chi è passato da una giornata di lobotomie radio-televisive (e magari, arrivato in pista prima della mezza, ha dovuto schivare le hit di David Guetta o Martin Solveig); gli effetti wobble di P2 Around The Twist non sono un semplice rimando al mito rave, ma riproducono un effetto di isolamento in una bolla di placenta ovattata che chiuda i contatti con la frenesia metropolitana; per ultima, Mushrooms non è solo una chiusura tenebrosa, ma un rito di esorcismo contro i demoni della modernità, attraverso la supremazia dell'apparecchio elettronico e, quindi, dell'uomo.

Guardiamolo inserito nel susseguirsi dei decenni nella musica per club: questo è suono per ribelli in megalopoli prossime al collasso, col quale ci si illude di poter frantumare il disordine costituito. I disorientamenti jungle e drum'n'bass, che attecchivano nei rave degli anni '90, oggi non basterebbero. In giorni dominati da rabbia e insoddisfazione quel che serve è una sensazione di potenza distruttiva, anche se illusoria e temporalmente limitata, che lasci credere di poter sovvertire un sistema fondato su finte priorità e bisogni indotti. È questo che state cercando? Piantatevi in uno spazio chiuso con qualche migliaio di watt di impianto audio e una bestia come Digi dietro ai piatti, e sparatevi questi bassi in endovena. Altro che pasticche colorate.

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