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7/10

Lindsey Stirling

Lindsey Stirling

Il primo vero e proprio disco della violinista Lindsey Stirling vede la sua composizione subito dopo la comparsa ad America’s Got Talent. La miscela proposta allo show americano ricevette ampio consenso, senza mancare ad osservazioni contrastanti: nella sua ultima esibizione le venne negata la capacità di poter riempire i locali di Los Angeles.

Attualmente la storia è ben nota, ma per poter comprendere l’evoluzione artistica che la violinista americana ha conosciuto è necessario dover partire proprio da questo punto fermo, dalla composizione effettiva dei primi dodici brani che presentano una figura timida, fragile, ma con tante potenzialità. E una piattaforma fondamentale che ne ha permesso la divulgazione è stata indubbiamente YouTube: “Crystallize”, uno dei suoi primi videoclip, presenta ad oggi più di 180 milioni di visualizzazioni (buona parte accumulate poco dopo la pubblicazione).

Uno dei tanti brani affiancato ad un videoclip intento ad aprire l’album è “Electric Daisy Violin”, un’allegra melodia ballata dal violino che si fa strada tra le tastiere, che scandiscono il tutto. L’aggiunta di una voce filtrata al sintetizzatore contribuisce a dipingere un inizio vivace, anche se ci vuole poco per capire che in realtà, come per tutti i brani successivi, gli strumentali possono essere considerati brani che presentano la classica struttura canzone, su cui a cantare è, difatti, il violino. Non che sia un difetto, anzi: la pomposa “Zi-Zi’s Journey” propone ritmi dinamici su cui il violino ha modo di affiancarsi a continue miscelazioni di tastiere che si schiantano, si dissolvono, si assemblano.

Il già citato “Crystallize” si affianca ugualmente ad un dubstep più cupo: le tonalità del violino si raffreddano, scivolando con malinconia tra ventate di tastiere che preludono ad un appiccicoso medley che plasma un ipotetico ritornello. E, come allude la successiva “Song Of The Caged Bird”, permangono delle atmosfere ben lontane dalla vivace apertura di “Electric Daisy Violin. Scandita da percussioni elettroniche chiare, a cui si intrecciano velocemente le tastiere, la struttura canzone appare più evidente, mostrando una certa debolezza nella sua ripetitività (insomma, un brano allungato con l’olio).

Nonostante questo sia percepibile anche in “Moon Trance”, qui le tastiere riescono a formare un percorso più dinamico e variopinto, inglobando un violino incontenibile, energico. Le voci filtrate rallentano parzialmente il brano, slanciando nuovamente il violino tra ragnatele e pulsazioni elettroniche.

Minimal Beat” si propone con beat serrati e un violino malinconico che paiono convincenti, assieme ad un ritornello semplice ma efficace, volto a schiarire voci spezzate e tastiere sfumate. Non manca però la tentazione di riprendere un blocchetto di “Moon Trance” per rimodificarlo ed attaccarlo a tastiere più accese. “Trascendence” non ha nulla di speciale: delude fin dall’inizio per le tastiere confuse, scollegate e per certi versi scontate: nemmeno i vortici dei violini riescono ad attirare l’ascoltatore, alpiù per il breve ponte in cui è il violino stesso a cercare di costruire una nuova struttura musicale, subito disfatta.

Elements” riprende fedelmente la struttura di “Minimal Beat”, affiancandola stavolta al dubstep, ottenendo tuttavia un brano che mostra un suo fascino, nel suo continuo scivolare tra tastiere e violino. Ancora una volta, però, il ponte evidenzia un brano allungato eccessivamente. Con “Shadows” tornano i beat elettronici uniti stavolta ad un violino malinconico (nelle altre simili il violino era più vivace). Spicca il ritornello, dove il violino è esaltato da rapide e accese tastiere, che si amalgamano per ripristinare i ritmi adibiti alla “strofa”.

Spontaneus Me”, nonostante si proponga con rapide salite e discese del violino accentuate da sfumate tastiere, appare in certi punti poco stabile. Queste incertezze vengono ricolmate dal violino, che presenta qui buona parte delle sue doti. E le tastiere, a differenza di “Trascendence”, non fanno che valorizzarlo.

Si riprende chiaramente quota con “Anti-Gravity”, dove spiccano le varie ed accese tastiere, che si amalgano perfettamente al violino e al dubstep ben nascosto tra i beat. La ripetitività del brano sporca un po’ la bellezza del brano, che cerca di ripulirsi con un ampio dubstep che risucchia violino e tastiere, ripristinando la trama iniziale. Stesso discorso per “Stars Align”, che enfatizza questo difetto nonostante i tessuti musicali di base siano orecchiabili, ma troppo eterogenei a causa di tastiere che, anche qua, non funzionano al massimo.

La sintesi di “Stars Align”, che immette tastiere, dubstep, voci filtrate e – chiaramente - violino, non può che mostrare pregi e difetti di questo timido debutto. Ed il primo non può che essere ancora una forte eterogeneità tra il mondo dell’elettronica e quello del “reale”, conciliata comunque in alcuni esempi caratteristici (“Moon Trance”). A questo si unisce una ripetitività di alcuni brani che manterrebbero un aspetto migliore se ridotti.

Tanti piccoli difetti, ma anche tante potenzialità: “Electric Daisy Violin”, “Crystallize”, “Moon Trance” e (in minor misura) “Elements” rappresentano atmosfere differenti, a tratti comuni, comunque apprezzabili nella loro armonia e nel loro intento di voler comunicare attraverso lo strumento. Nel complesso, un piacevole inizio in cui un violino vale più di mille parole.

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