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R Recensione

7,5/10

Oh Wonder

Ultralife

C’è una forte vicinanza tra gruppo e ascoltatore, quasi come se fossero vicini di casa, quasi come se fossero amici che tendono a descrivere le proprie esperienze per il solo piacere di condividere una stessa passione. Il breve documentario che mostra la lunga storia della realizzazione di “Ultralife” è un racconto gratuito, un piacevole background su cui si possono degustare piccoli assaggi di ogni singolo brano, che oltretutto viene proposto e spiegato giorno dopo giorno nelle piattaforme sociali, prima su tutte YouTube.

E forse è proprio questa modalità di approccio che caratterizza in un certo senso il secondo disco degli Oh Wonder, timido gruppo indie che due anni prima ha portato alla luce del sole un lavoro semplice e dalla bellezza cristallina, un fenomeno che in Italia non è riuscito ad avere la giusta attenzione. Il capitolo successivo sembra mantenere – purtroppo – la stessa sorte.

Grazie all’ascolto guidato offerto giornalmente dalle spiegazioni track by track, il pubblico può anzitutto prepararsi a sentire ciascun brano con le dovute predisposizioni, conoscendo temi, storie ed evoluzioni, senza rinunciare a qualche commento personale degli stessi autori.

Prima ancora della musica è opportuno soffermarsi infatti sui temi; buona parte dei brani ruota su tematiche assolutamente semplici, spontanee. Viene mantenuta quella purezza che ricerca i valori di una vita semplice, seguendo un percorso per la quale sono richiesti anzitutto i propri spazi. “Solo” è infatti ambientata in una festa in cui ogni personaggio è un estraneo. Il clima è soffocante e vi è la necessità di uno sfogo, di abbandonare quell’ambiente delimitante una condizione di solitudine in compagnia per cercare di respirare aria nuova.

Questa esplosione tematica presenta un continuum per quanto riguarda la title-track e “High On Humans”, colorati inni alla vita e alle capacità che permettono di caratterizzare ciascun individuo. L’intento di “voler scrivere canzoni che possano far parte della soundtrack di qualcuno” (Josephine Vander Gucht, cantante del gruppo) viene mostrato in particolare con i due singoli appena citati.

Più che il tema amoroso, accennato appena con “Bigger Than Love” e “Slip Away”, buona parte delle tracce racconta di sé stessi, delle situazioni in cui le giornate mostrano lati che non corrispondono con l’individuo (“Overgrown”), degli inutili eccessi materiali (“All About You”), ma soprattutto sui risentimenti. Il senso del litigio viene affrontato prima con “Heart Strings”, dunque in maniera più profonda ed emblematica in “Waste”. La posizione di quest’ultima non è casuale: riflette e completa la visione di “Solo”; da una parte è necessario mantenere uno sfogo interiore, una ricerca ed una solitudine che non può essere estesa per tutta la vita. “Waste” insomma ragiona sul senso della solitudine, ricercandone la sua inutilità e preferendo piuttosto il rapporto sociale (e/o amoroso). “My Friends” infatti preannuncia questa conclusione.

Heavy” e “Lifetimes” non ruotano su temi particolari, dato che sono stati studiati più per la struttura musicale che per il contenuto.

Ed è proprio nella trama musicale che si osservano delle minimali novità. Anzitutto il tessuto elettronico ha subito un notevole arricchimento, ripescando suoni del glitch-pop per ammorbidirli con la purezza già presente nel disco d’esordio. La novità insomma si ritrova nel colore: in breve tempo si descrivono esplosioni di colori vivaci (la title-track ne è un brillante esempio) e panorami notturni, luci e colori di una città immersa nella notte.

Prima ancora della title-track è “Solo” a mostrare questa peculiarità: è il primo luccichio, una passeggiata tra le vie secondarie e parzialmente illuminate di una metropolitana, illuminata da sprizzi di chitarra che lentamente sgorga in un crescendo sempre più coinvolgente. Allo stesso modo, “Solo” è anche la perfetta apertura, l’introduzione ad un viaggio che trova una delle sue massime espressioni in “Ultralife”, un’irresistibile miscela di minimalismi elettronici e percussioni, costantemente ritoccata nel dettaglio da delicati archi e voci filtrate. Un giocattolo prezioso, una giostra colorata, un’allegra danza di salti e piroette.

La mancanza di temi mostrata da “Lifetimes” è compensata da un tessuto musicale nuovo: cantato e rap si incrociano trasversalmente su una solida piroetta di pianoforte su cui si attaccano, ruotando, percussioni, archi e tastiere appiccicose.

È curioso come “High On Humans” sia una delle tracce formata con così breve tempo (il testo è stato scritto in meno di una settimana) e ad essere contemporaneamente un altro discreto brano su cui piano e voce ruotano costantemente, perdendo parzialmente vivacità nelle strofe, ma riacquisendo vitalità da stuzzicanti sintetizzatori su cui saltano piccoli frammenti elettronici.

All About You” è l’esatto opposto del singolo precedente: la lunga ricerca per la sua esatta costruzione è stata, così come per la successiva “Bigger Than Love”, un continuo ciclo di spunti e di scarti. La trama adoperata per “All About You” è rallentata, fitta nell’immediato ponte che viene bombardato da un muro di tastiere. È orecchiabile ma non raggiunge il risultato sperato. La seconda nasce invece come brano acustico, incentrato su voce e piano, successivamente arricchito da semplici aggiunte elettroniche che rischiano di toccare la monotonia. Il classico finale, coronato da un’alba di tastiere accompagnata da una chitarra mattiniera, è un fortunato tentativo orecchiabile.

Ad intromettersi tra le due tracce è “Heavy”, altro brano irresistibile che abbraccia soffi di tastiere e brillanti rintocchi di pianoforte. Si assiste ad una progressiva distorsione che si adatta perfettamente alla disperata richiesta della voce (“I can be the only I can be the only one”).

Heart Strings” è un altro silenzioso gioiellino, perfetta descrizione notturna illuminata da rapidi passaggi di tastiere. Ancora una volta il colore trova la sua realizzazione: se “Ultralife” è il giorno, “Heart Strings” è la notte. Curata nel dettaglio, scivola inesorabile in una chiusura indimenticabile: sprizzi di pianoforte, cascate di tastiere ed il simbolo notturno per eccellenza: brillanti ritocchi di sassofono che abbracciano il pianoforte.

Ed è una strana coincidenza quella di proseguire con la sognante “Slip Away”, impoverita nella trama musicale da tastiere minimaliste e recuperata dalla batteria. Sicuramente non la più vivace, mantiene una certa armonia con il lento crescendo finale delle voci.

Overgrown” è aperta da giocose tastiere, quasi come se si trattasse di un giocattolo. È insomma una perfetta contrapposizione al contenuto che potrebbe anche alludere alla perdita della spontaneità infantile, improvvisamente allontanata da fitte reti di tastiere su cui si intrappolano le voci nel ritornello. Con un po' di attenzione in più è possibile apprezzare appieno la ricchezza del suo tessuto musicale.

Il legame affettivo in “My Friends” vede un cantato silenzioso che si mantiene distaccato dai freddi tocchi di pianoforte, riscaldati successivamente dagli archi, fondamentali nel capovolgere la struttura musicale, conferendo prospettiva e profondità alla distanza voce-piano.

Waste” presenta infine un altro elemento di novità: il tessuto musicale è spoglio, arricchito progressivamente da rintocchi malinconici delle tastiere. I giocattoli colorati che avevano accompagnato i brani precedenti sono ora messi su uno scatolone, illuminati parzialmente dal costante tintinnio del sintetizzatore. Il finale serrato è una brusca interruzione, quasi a voler lasciare un interrogativo, ad una conclusione che spetta all’ascoltatore che prima ancora aveva cominciato con “Solo”.

Nel contenuto e nella musica, nelle piccole attenzioni al dettaglio e alla semplicità, “Ultralife” è un felice proseguimento all’omonimo esordio, un vecchio giocattolo colorato minuziosamente decorato che può essere osservato alla luce del giorno e della notte. Un giocattolo da riscoprire, da spolverare e da custodire con gelosia (o da condividere?).

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C Commenti

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AmoK (ha votato 4,5 questo disco) alle 23:40 del 24 gennaio 2018 ha scritto:

francamente l'ho trovato un disco che lascia molto a desiderare. Alla fine si tratta di un synth pop che non ha veramente nulla di personale. Voce, percussioni, sintetizzatori rientrano tutti in uno stereotipo che si sente veramente da anni nelle charts internazionali. Credo sinceramente che il 90% della gente su soundcloud riuscirebbe a fare parecchio di meglio