Depeche Mode
Playing The Angel
Martin Gore ha 44 anni. Dave Gahan ha presumibilmente trovato laffetto del figlio e quei tatuaggi, memorabilia di un tempo che è stato vissuto, rendono ancora più vecchio quel suo corpo decaduto su un ei fu volto di fanciullo-demonio.
Non sarebbe giusto attendersi una Strangelove, figuriamoci una Enjoy The Silence. Ma Dream On era indiscutibilmente brillante e una John The Revelator non la scrivono in molti.
Senso del ritmo accecante, centrifugato dentro un soul vibrante. Un dancefloor elegante e una camera di electro-pop snob con qualche riserva di funambolismo mezzo serio-mezzo senile-mezzo fantastico in tasca. Giacca e cravatta e occhiali da sole, come le foto promozionali.
Il pubblicizzarsi come il mestiere.
E Suffer Well è puro mestiere-Depeche Mode-anni 00. Vince laddove I Feel Loved sapeva di ripescaggio fuori tempo massimo. Ciò che stupisce è che la penna sia quella di Dave. Perché la memoria non inganna e Paper Monsters era proprio uno schifo di disco, checché se ne dica. Scritto peggio, poi.
Eppure il songwriting semplice e immediato dellex sex symbol traghettato nella band natale funziona a tal punto che I Want It All e Nothings Impossible (gli altri episodi puramente suoi) sono due brani solidissimi: il primo, un ambient delicato dalleffettistica ariosa che va piacevolmente aggrovigliandosi sul finale; il secondo, unincantevole monolite di spiritualità dark, una ballad in levare con il fascino del viscido e romantico, e quel loro senso di smarrimento così trade mark.
Con Martin poi, il soul prende il volo.
Macro è il suo mondo di parole e allitterazioni buttate in aria una ad una, sopra un beat deliziosamente nervoso e una chitarra a dipingere lennesimo riff da cuore in by-pass momentaneo. Damaged People ha un che di tragico made in 1986, ma più che musica per le masse è una sinfonia per sopravissuti. Tragedia Gore che si lesina sottile sotto la coltre di una scrittura corposa. Lo spirito di A Question Of Lust proiettato nel 2005.
E tragico è anche il profumo di The Sinner In Me, prezioso e vellutato mentre cammina nel ghetto dove Mezzanine ha respirato sette anni fa.
Lilian è nuovamente mestiere, un plausibile secondo singolo, un electro-pop molto DM ma piuttosto incolore. Precious è giusto un po meglio, con il suo fluttuare sintetico che paventa oniricità e riesce anche a convincere, ma con una glacialità che è in fondo distacco, un retrogusto alla lunga stucchevole.
Che lelectro-soul e lequilibrio fra effetto ed eleganza siano gli ingredienti della band di Basildon, era già chiaro nella chiaroscurale spiritualità di Songs Of Faith And Devotion e nellapprofondire questo percorso The Darkest Star è quanto di più commovente lanima di questi arzilli uomini dalla pancetta milionaria abbia prodotto in questo nuovo capitolo. Altra cosa dal gospel atterrito di Goodnight Lovers, perché questa è la versione adulta di Condemnation, oltre che una splendida chiusa.
E pace che A Pain That Im Used To sia solo un eventuale nuovo fragoroso opening per i loro live act.
Playing The Angel non è un disco corpulento e deciso dallinizio alla fine, come daltronde non lo è nessun lavoro dei Depeche dal dopo Violator, ma è forse quello che da lidea di essere il più coerente, poiché ogni brano è ben saldo al successivo, con il giusto equilibrio di paraculismo, maestria ed emozione.
Benvenuto autunno, ora.
Recensione originalmente pubblicata e gentilmente concessa dalla defunta webzine www.idbox.it
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