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R Recensione

7/10

The Shadow Line

I Giorni Dell'Idrogeno

365 giorni all’anno siamo bombardati dall’idiozia, strisciante attorno a noi, latente nelle nostre discussioni, pesante nelle sue conseguenze. Gli Shadow Line sono forse partiti da queste considerazioni per confezionare “I Giorni Dell’Idrogeno”, disco della maturità artistica, cantato quasi interamente in italiano, dopo il convincente “Fast Century” del 2008. La contaminazione britpop è profonda, come pure un certo odore barocco, che rende il disco molto scorrevole, con canzoni piacevolissime che lasciano intravedere un’agognata speranza per il futuro, nonostante attorno a noi i tumulti si susseguano, dalla tremenda condizione politico-economica italiana alla Primavera Araba. L’organico degli Shadow Line, cresciuto e pasciuto nei locali rock di Roma, prevede Daniele Giannini alla voce e alla chitarra, Francesco Sciarrone ai synth e alla seconda chitarra, Alessia Casonato al basso e Francesco Stefanini alla batteria.

La Vita Sognata” apre il discorso autorale direttamente sul tema della follia, con una struttura musicale molto semplice, quasi classica per il britpop. Diversa la successiva “Regole Di Ingaggio”, con una inclinazione rock decisamente più mordace e impegnata nel tema antimperialista quanto quelli di Occupy Wall Street, tesa a smontare il sogno americano una volta per tutte: la band romana canta: «Non senti che l’America non c’è più / è un sogno che né io né te potremo / permetterci mai più, / è un padre che hai sepolto qui e illuso». Molto gradevole anche “Settembre”, mese in cui alcune cose ricominciano ed altre muoiono definitivamente, con un piglio art rock che trasforma una canzonetta pop in un ritratto quasi letterario della transitorietà. Un po’ di rancore emerge ne “Il Limite”, una rabbia che in realtà cela la speranza di libertà dei popoli dell’Africa mediterranea che stanno lentamente tentando una nuova via di organizzazione politica. Al di là della facile demagogia, visto che i problemi della Libia, della Tunisia o dell’Egitto sono molto più complessi e non possono venir schematizzati nella formula dello scontro bene/male, la traccia si fa comunque apprezzare per la forza espressiva delle sue chitarre, quasi a mimare quei giorni di sanguinosa sollevazione popolare. Il tema dell’irrazionalità torna in “Oblio”, il brano più dannato dell’intero album, con un impasto di chitarre e batteria eccellente che non lascia pressoché spazio a momenti di relax; Giannini stesso canta: «Provo qualcosa che sa di abitudine, / solitamente mi sento distante. / Sembra strano ma la mia normalità / è volutamente del tutto incostante». Quella calma tanto attesa arriva con “Giorno Di Follia”, la canzone d’amore, con la sua deliziosa apertura di piano, con il rimpianto ipocritamente trasmutato in rimorso, con gli assoli ben assestati, con infine l’impressionante stoccata art rock. Quei toni vagamente malinconici di “Settembre” tornano ne “L’Estate In Un Giorno”, come in un carillon fuori fase, sul quale paventati acquazzoni estivi e nuvoloni neri lasciano presagire la fine del periodo migliore (bellissimi i versi: «Perderai i tuoi occhi per pubblicità, / la tua ansia e la tua anima. / Venderai la tua unica verginità / per un posto in questo secolo»), citando nei fatti anche canzoni sempiterne dei Buggles e dei Joy Division.

Il disco finisce sulle struggenti parole di “Dormi” per lasciarci l’amaro in bocca, quel disincanto tipico degli adulti di fronte alle cose che li rendevano felici da bambini. Gli Shadow Line cantano «Fra pensieri indecifrabili / che la vita ti sia lieve e / ma ci pensi mai / a quei giorni…». Proprio questi sono “I Giorni Dell’Idrogeno”: i giorni senza perché.

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