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R Recensione

9/10

Manic Street Preachers

The Holy Bible

La Bibbia dei Manic Street Preachers è almeno tre cose: l’apice della band gallese, il testamento di Richey James Edwards, uno dei dischi più violenti dei ’90 britannici. Ma ascoltandolo per bene si capisce che è anche molto di più, e che quel titolo ambizioso e dissacratorio lo sopporta con orgoglio e con rabbia, come una cicatrice.

Richey James Edwards, di cicatrici, si sa, ne aveva parecchie. Era una delle manifestazioni più vistose del suo malessere. Famigerata la ferita che si intagliò sul braccio sinistro durante un’intervista con Steve Lamacq, dopo un concerto, al solito, distruttivo: alla domanda se la band credesse davvero in quello che predicava, si incise con un rasoio “4 real” sul braccio, e tanto – più 17 punti di sutura – bastò. Richey era il paroliere del gruppo, curava il design dei dischi, suonava maluccio la chitarra, non cantava, ma restava l’anima sotterranea dei Manics, il loro spirito e la loro immagine. Qui, in “The Holy Bible”, è quasi un’icona.

Terzo disco della band, dopo la rabbia glam di “Generation Terrorists” e il decadentismo blando di “Gold Against The Soul”. In America spopola il grunge. In Inghilterra nasce il brit-pop. I Manics decidono di prendere la rabbia rappresa del primo e la melodia terrosa del secondo e di immergerle in un post-punk viscerale. Promuovono il disco vestendo divise militari (i Clash docent); sgrezzano il suono, eliminando tutto tranne chitarra basso e batteria; puntano su vocalizzi metallici e urlati, su una sezione ritmica cruda; esasperano i riferimenti politici, portando avanti una linea socialista sempre più estrema e tendente a un nichilismo furioso ed egocentrico («I know I believe in nothing but it is my nothing», si legge in “Faster”); deformano, storpiano, violentano tutto, dai testi alle immagini.

La copertina è un corpo abnorme, opera di Jenny Saville: “Strategia: lato nord, fronte, lato sud”. Una prospettiva espressionistica sull’elefantiasi occidentale. I testi mescolano confessioni esistenziali di Edwards e (anti)manifesti politici di Wire: il privato si incontra con il pubblico, con reciproco annientamento. Sono stralci di diari, citazioni, estrapolazioni strappate e ricucite, mosaici di parole crudeli che si fa fatica a tenere assieme, a calare nella musica: Bradfield, spesso, è costretto a oltraggiare la lingua, a stirare la pronuncia, a mangiare le parole, pur di farle rientrare, magari sghembe e succhiate, nella metrica musicale, pur di incastrarle tra gli spigoli dei riff. Ne esce un collage labirintico e di ardua interpretazione, con cui bisogna lottare per innamorarsene.

La Bibbia procede a spallate nervose, asimmetriche, con strofe dispari e chitarre claudicanti, per poi sfogarsi nella pienezza dei ritornelli, in esplosioni di un melodismo brit che si incrocia come non mai nella carriera dei Manics con influenze new wave, glam, punk, persino prog, grunge. Nel 1994 si parla della Bibbia come di una parente stretta di “In Utero”.

Quasi tutte le canzoni iniziano con un sample vocale: citazioni da film, documentari, interviste. Paradigmatica la citazione di un’intervista a J.G. Ballard sui motivi del suo libro-capolavoro, “Crash”: «I wanted to rub the human face in its own vomit and force it to look in the mirror» (si sente nel mezzo di “Mausoleum”). E lo specchio è questo cd. E la faccia dell'uomo è quel corpo sfatto. Sovrapposti alle citazioni, partono i riff di un Bradfield iper-ruvido, accompagnati dalla batteria nevrotica di Moore e dal basso ossessivo di Wire. Solo nei ritornelli, a vangare il suono, si unisce Edwards.

Le atmosfere sono umide, cupe, fibrose: “Ifwhiteamericatoldthetruthforonedayit’sworldwouldfallapart” si apre con un riff quasi cacofonico, “Of Walking Abortion” ha un attacco distorto e visionario, unito a un finale da ossessione. Pochi i passaggi radio-friendly: solo “She Is Suffering” e “This Is Yesterday” portano testimonianza di (sofferta) dolcezza. “Archive Of Pain” è segnata da un basso brutale e da uno sviluppo che mescida puntelli postcore e aperture punk, mentre “Revol” è pop rock che picchia sullo stomaco.

 

I vertici sono molti. Spicca “4st 7lb”, sull’anoressia (di cui Richey soffriva). Pezzo mimetico, agghiacciante. La chitarra all’inizio viene letteralmente stuprata, trascinata a singhiozzi, in un ritmo zoppo che simula la menomazione; il testo dà i brividi, con Bradfield che canta Edwards che si mette nei panni di una ragazza anoressica («See my third rib appear /A week later all my flesh disappears [...] Stomach collapsed at five / Lift up my skirt my sex is gone»), creando una serie di scatole cinesi emotive lancinanti. Il finale elegiaco, che stravolge la prima parte del canzone, è una danza macabra dal sapore della rassegnazione.

Straordinarie “Mausoleum”, sanguigno rigurgito di parole e sdegno, “Die In The Summertime”, in cui il riff nevrastenico della strofa si riversa sul ritornello con una ferocia liberatoria, e “Faster”, impetuoso inno all’impuro («I hate purity») e all’autodevastazione (con riferimento all’autolesionismo fisico di Edwards: «I am an architect, they call me a butcher»). Canzone dopo canzone pare di leggere il lascito di una deriva lucida e consapevole (“Yes”, “P.C.P.”).

I Manics, dopo quest’album, hanno pubblicato cinque dischi onesti. Richey è sparito la mattina del primo febbraio 1995, dopo aver ritirato per due settimane di fila, ogni giorno, 200 sterline dal suo conto. La sua macchina è stata trovata nei pressi di un ponte tra Galles e Inghilterra, noto scenario di aspiranti suicidi. A lui ancora adesso i Manics versano il 25% dei ricavi. Il 23 novembre 2008 Edwards è stato ufficialmente dichiarato morto. E questa è la loro e la sua Bibbia.

«Si è obbligati a fingere rispetto per persone e istituzioni che si ritengono assurde. Si vive attaccati in modo codardo alla morale e alle convenzioni sociali che si disprezzano, condannano, e che mancano palesemente di fondamenta. È quella costante contraddizione tra le proprie idee e i propri desideri e tutte le morte formalità e vane pretese della civilizzazione a rendere tristi, angosciati e privi di equilibrio. In quell’intollerabile conflitto si perde tutta la gioia di vivere e l’intero senso della propria personalità, perché in ogni momento la libera gestione delle proprie facoltà viene soppressa, incanalata, controllata. Questa è l’avvelenata e mortale ferita del mondo civile» (Octave Mirbeau, “Il giardino dei supplizi”, dalla retrocopertina di “The Holy Bible”).

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Voto degli utenti: 8,6/10 in media su 19 voti.
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REBBY 7/10
motek 8,5/10

C Commenti

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loson (ha votato 9 questo disco) alle 23:53 del primo dicembre 2008 ha scritto:

Migliore analisi di questo capolavoro non poteva esserci. Francè, sei un mostro di bravura!

simone coacci (ha votato 9 questo disco) alle 0:37 del 2 dicembre 2008 ha scritto:

Davvero fantastico!

Dr.Paul (ha votato 9 questo disco) alle 14:30 del 2 dicembre 2008 ha scritto:

eh beh che tempi!!

target, autore, alle 15:11 del 2 dicembre 2008 ha scritto:

Troppo gentile los! La recensione è per Mala. Di cuore e di rabbia, come questo disco.

Paranoidguitar (ha votato 9 questo disco) alle 15:37 del 2 dicembre 2008 ha scritto:

bravo Target! Il disco in questione è un must del brit pop!

DonJunio (ha votato 8 questo disco) alle 21:21 del 2 dicembre 2008 ha scritto:

Non poteva esserci dedica migliore, Francesco. L'album è davvero hors catégorie rispetto al resto della discografia dei Manics, Edwards era davvero in uno stato di grazia che permise loro di sublimare il consueto canovaccio da b-sides dei Clash.

Roberto Maniglio (ha votato 8 questo disco) alle 23:36 del 24 dicembre 2008 ha scritto:

Mi unisco ai complimenti.

Bellerofonte (ha votato 8 questo disco) alle 18:03 del 10 aprile 2010 ha scritto:

Gran bel disco, ma gli preferisco comunque l'esordio dei MSP, forse si, devo dirlo, anche per un fattore affettivo.

Charisteas (ha votato 10 questo disco) alle 18:05 del 26 settembre 2010 ha scritto:

Capolavoro. Ho pure il pacco del 10° anniversario..

ozzy(d) (ha votato 9 questo disco) alle 18:14 del 26 maggio 2011 ha scritto:

"Scratch my leg with a rusty nail, sadly it heals. Colour my hair, but the dye grows out. I can't seem to stay a fixed ideal".....mamma mia che disco.....

Totalblamblam alle 21:56 del 29 maggio 2011 ha scritto:

RE:

...si so tutte uguali che discone cazzo (gira ora nel lettore ma fra un po' vola via mi sa ghghgh)

ozzy(d) (ha votato 9 questo disco) alle 22:14 del 29 maggio 2011 ha scritto:

questo è un discone a tutti gli effetti, ci trovi dentro i clash, i PIL ovunque, i nirvana di in utero, persino l'assolo alla queen di ifwhiteamerica si incastra alla perfezione...

Totalblamblam alle 12:23 del 30 maggio 2011 ha scritto:

RE:

si citi bands che gira e rigira hanno sempre fatto la stessa canzone ghghgh sia ben chiaro clash e pil mi piacciono nirvana già meno, queen per nulla. dare 9 a dischi con pezzi tutti più o meno uguali mi sembra osceno e questo alle mie orecchie sono un po' troppo omogeneo sentita una sentite tutte

ozzy(d) (ha votato 9 questo disco) alle 13:20 del 30 maggio 2011 ha scritto:

ma che c'entra??? allora io dico che e' assurdo mettere 9 a late for the sky di jackson browne dato che gli sviluppi armonici sono abbastanza simili in tutti i pezzi. poi tu lo trovi raffinato ed emozionante e gli metti 9 lo stesso, come io trovo questo viscerale, violento ed emozionante lo stesso. discone, poi lo pensa pure dr paul che ne ne capisce piu di te anche di tennis ghghghgh

Totalblamblam alle 15:18 del 30 maggio 2011 ha scritto:

RE:

la vita è assurda e tutti noi abbiamo le nostre assurdità, tiè ghhghg dr paul ha perso lo smalto degli anni passati, tutti gli anni trascorsi ad ascoltare suede pulp e wolf me l'hanno rovinato buahhahah poi gli ho rifilato un secco 6-2-6-1 con match point di veronica

Dr.Paul (ha votato 9 questo disco) alle 15:09 del 30 maggio 2011 ha scritto:

poi lo pensa pure dr paul

gully a te tutto ciò che è bada-dram bada-dram pre 1995 ti piace ghghgh!!

prova anche con le soluzioni orchestrali....possono essere viscerali e violente anche quelle...in un altro modo certo...

ThirdEye (ha votato 9 questo disco) alle 18:24 del 24 febbraio 2013 ha scritto:

Un capolavoro. Dovevano sciogliersi dopo questo album e la scomparsa di Richey, a mio avviso..Avevano già detto tutto.

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 13:35 del 30 agosto 2014 ha scritto:

Lavoro discontinuo e ruvido, trasforma l'impotenza in potenza grezza. Giustissimi i riferimenti a grunge e brit-pop

Lepo alle 14:23 del 30 agosto 2014 ha scritto:

Lo sto ascoltando in questi giorni... Tira una bella legna! La "cosa" imparentata col grunge che apprezzo di più, probabilmente

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 20:42 del 23 aprile 2019 ha scritto:

Ricapito qui per caso e mi tiro le orecchie da solo, il mio sette di qualche anno fa mi suona decisamente ingeneroso, pur avendo ancora oggi qualche riserva su alcuni brani. Target come sempre eccezionale, analitico e allo stesso tempo cristallino e fruibile. Reynolds sosteneva che i Manic erano una band tutto fumo e niente arrosto, alludendo al loro rivendicato e claustrofobico conservatorismo sonoro, contrapposto alle sonorità avveniristiche che al tempo si ritagliavano uno spazio importante (IDM su tutti), e li adorava proprio per questo. Io sono un po' meno severo, perché credo che nel panorama britannico del tempo ci fossero poche cose paragonabili ai Manic, distanti tanto dall'edonismo androgino del neo glam e di tanto brit pop, così come dall'escapismo di dream pop e shoegaze. Le loro sfuriate proletarie, già al tempo anacronistiche, li rendevano impareggiabili. Oggi servirebbe come il pane una band così radicale e allo stesso tempo affascinata dal glamour e dalle luci della ribalta.