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R Recensione

7/10

DuChamp

Nar

Non è sempre facile distinguere un truffatore da un genio. Allo stesso modo, quando mi trovo tra le mani un disco sperimentale, non è così facile capire se l’esperimento presentato sia frutto dello studio approfondito del suono e delle sue dinamiche o se sia un pacchiano ermetismo per confondere ascoltatori e critica. Qui abbiamo alcune informazioni che ci aiutano a diradare la nebbia. Innanzitutto questo primo long playing di DuChamp è targato Boring Machines, la stessa label che ha all’attivo i lavori di Simon Balestrazzi, Philippe Petit, Claudio Rocchetti, Father Murphy e Fabio Orsi. In aggiunta, la nostra DuChamp è una vera scienziata e si occupa a Berlino di biosensori NMR: non so di preciso cosa siano ma stiamo parlando di chimica e spettroscopia. In ultima analisi abbiamo il curriculum, dal quale spiccano le partecipazioni in terzi progetti come Fausto Maijstral, ShakaHura e Brabrabra; DuChamp è inoltre curatore dell’Occulto Fest, un festival tedesco in cui suonano alcuni dei più assurdi chitarristi della scena sperimentale.

Adesso prendiamo “Nar”. Cinque brani più o meno lunghi, assillanti e claustrofobici come la cella d’un ospedale psichiatrico. La nostra compositrice è religiosamente devota al drone: almeno su questo non v’è dubbio alcuno. La trama intessuta non ha significati apparenti, anzi pare ricordare proprio lo stratagemma di Penelope, la regina che tesseva e disfaceva il sudario di Laerte per non concedersi ai proci, in attesa del ritorno del marito. DuChamp edifica e butta giù, sintetizza ed improvvisa, mescola ma non agita, abbaglia, inganna, tradisce. Ma non siamo di fronte ad una truffa, sia ben inteso. Quello di DuChamp è un esperimento dadaista, anche se difetta totalmente dell’ironia e della giocosità.

Gemini” sfrutta le onde della fisarmonica per inventare un lungo ronzio ipnotico dove la voce dell’autrice, lontanissima anni luce, pare imitare il voluttuoso canto delle sirene, sempre per rimanere in tema di mitologia greca. “Protect me from what I want” è decisamente più nera, grazie alla chitarra baritona che, permettendo un’accordatura più bassa della chitarra normale, fa rimbombare i vetri della stanza, dando vita ad un monotono brontolio preistorico che pare non aver mai fine. “A worship”, forse il momento più anestetico dell’intero LP, tende ad evidenziare il culto per il drone, su un ripetitivo protrarsi di aciduli sintetizzatori e con la voce di Brian Pyle che proclama il medesimo disperato inno per cinque minuti. “A way to grasp joy immediately” cerca di rischiarare il fosco panorama ma non fa che distendere oltremodo i miei sensi, in un vorticoso aggiungersi di corde. Infine “Seisachteia” (letteralmente “scioglimento dei pesi” in greco), dove DuChamp improvvisa, assieme al sitar del portoghese Filipe Dias De, un viaggio rettilineo nella memoria, uno scuotimento delle proprie angosce, il definitivo ottenebramento della coscienza.

Giudicare “Nar” è quasi impossibile, e forse è anche inutile. Come i droni che librano in aria scattando foto alle basi nemiche, anche questo lavoro della Boring Machines non fa che impressionare su di un negativo lo stato apparente delle cose. Ciò che appare fisso, monotono ed immobile, nasconde spesso un gorgoglio sotterraneo, interno, un febbricitante operare in vista di un fine tangibile. La musica di DuChamp è così: in apparenza placida, contiene in sé tutti i germi dell’esplosione imminente. Un disco futurista, più che dada.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 1 voto.
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