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R Recensione

7/10

Orchestra di Piazza Vittorio

L’Isola di Legno

Nata per salvare un bene comune, il Cinema Apollo di Roma, l’Orchestra di Piazza Vittorio (creata da un'intuizione geniale di Mario Troonco e Agostino Ferrente) compie dieci anni di attività, diventando essa stessa un bene comune della musica italiana. Formazione aperta, pronta ad accogliere nuovi arrivi e nuovi linguaggi musicali, l’OPV è costituita oggi da diciotto musicisti, provenienti da dieci paesi che parlano nove lingue diverse, uniti dalla passione per la musica. Una musica che nasce dai repertori tradizionali, ma pronta a contaminarsi con il pop ed il rock, una fusione di antico e nuovo che crea un suono unico e riconoscibile. Lo scopo primario di questa orchestra così particolare (un orchestra fatta di autori e non di meri esecutori) è proprio la ricerca di repertori popolari diversi e la loro integrazione.

Sembra un esperimento di difficile realizzazione, eppure sentendo L’Isola di Legno si resta colpiti dall’estrema facilità con cui questo accade. Dalla melodia ariosa e travolgente di Preludio (cantata in spagnolo, un testo pregevole sui mali della cattiva politica), dove i suoni sudamericani si contaminano con quelli europei, all’incontro tra Francia e mediterraneo di Une ile en bois (cantata in francese), in cui si racconta di popoli migranti alla ricerca della libertà. Dal reggae di Chicken in the Kitchen, dove si incrociano Caraibi e Sud America (cantata in tre lingue e composta ad otto mani, ospite alla chitarra Fausto Mesolella degli Avion Travel), con le sue chitarre in levare, i fiati, e l’allegria contagiosa, al pop dal delizioso sapore vintage anni ’60 di Limoncello, dove si alternano inglese e portoghese, e che potrebbe essere senza fatica un successo commerciale dal potenziale notevole.

Contaminazioni ancora più ardite le troviamo in Tal Tal (cantata in arabo tunisino), una splendida ballata pop folk che unisce le sonorità tradizionali arabe alla musica occidentale contemporanea, creando un mix di suoni riuscitissimo, e in Wonala (cantata in dialetto senegalese) dove entra in gioco anche la musica elettronica, con accelerazioni ritmiche quasi dance, alla ricerca di un suono nuovo, che nasce dall’interazione di linguaggi musicali diversi. Tutto in questo disco sembra funzionare magicamente: la kora insieme alla chitarra elettrica di Thiossane, l’Africa ed il soul in Galas, cantata da una voce quasi blues, con i fiati r ‘n’ b che si uniscono alla kora ed ai ritmi afro in sottofondo, la canzone popolare romanesca di Simon il gladiatore, i suoni evocativi dell’oud di Stanna, le lingue portoghese e senegalese che si incrociano in Tughel.

Non mancano due cover, splendide. Si Dios fuera negro (del cantautore portoricano Roberto Angleró), un classico ritmo cubano allegro e trascinante, con fiati, percussioni, cori ed una gran voce, che ne fanno uno dei brani più riusciti del disco, e Zamba para no morir del poeta argentino Hamlet Lima Quintana, già nel repertorio di Mercedes Sosa, un lento e struggente canto contro la guerra.

Tradizioni e linguaggi che si incontrano, passando da Cuba al reggae, dal folk al pop, dal Sud America all’Africa. Linguaggi che insieme creano però un suono unico, multietnico e multiculturale, il suono dell’Orchestra di Piazza Vittorio. Una storia esemplare sotto tutti i punti di vista: artistico, culturale, musicale, sociale, politico (assolutamente da recuperare il documentario sulla nascita dell’Orchestra). Una storia che ha dato il “la” ad un'ondata di orchestre multietniche sparse in tutta la penisola, il cui movente iniziale fu semplicemente dimostrare che “unire culture diverse produce bellezza”. Esperimento pienamente riuscito.

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