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8/10

Electric Light Orchestra

The Electric Light Orchestra

Tra le cose che, oggi, nel panorama musicale quasi sicuramente mancano c’è un’attenzione viva a certi dispositivi, anche teorici, che sono lo strumentario quotidiano di un musicista professionista. Questo ha le ragioni più varie – l’attenzione a certe sonorità più che ad altre, l’utilizzo massiccio di strumenti digitali come i programmi di produzione, oramai alla portata di tutti e che non richiedono una formazione musicale avanzata e così via. Questo non per tacciare la musica contemporanea di mancanza di erudizione – chi ha la presunzione di affermare che la musica debba per forza essere erudita? – o per accusare Chris Martin di non conoscere il solfeggio o le Variazioni Goldberg. Certo è che, tuttavia, parlando di musica popolare nel senso più lato possibile, questo dato si fa talvolta pesante e conduce a risultati non proprio felici.

Ma è anche questione, ahinoi, d’epoca. Perché se Roy Wood, polistrumentista inglese, riuscì nel 1971 con i soli ingredienti di un ascolto delirante di Hendrix e delle corde di un violino di terza mano a scrivere un brano come 10528 Overture, forse fu anche uno spirito del tempo a parlare e non solo l'erudizione di un singolo musicista. Prima di militare nell’iconica Electric Light Orchestra (ELO), Wood era stato sia un membro dei The Move, la band dalle cui ceneri nacque ELO, e assieme alla ELO farà parte anche dei folli Wizzard. Con l’amico e frontman Jeff Lynn e con il percussionista Bev Bevan, Wood decide che gli ingredienti del suo nuovo progetto devono essere esplosivi. Lo scopo era quello di fondere il progressive rock alla King Crimson (nati peraltro, a Londra, in contemporanea alla ELO) con il pop di matrice Beatles e la musica sinfonica. La formazione prevede, per questo primo lavoro, l'omonimo album del 1971 The Electric Light Orchestra, sei membri: Wood, che si occupa degli archi e di ogni fiato possibile, Lynne alla chitarra, alla voce e alle tastiere, Bev Bevan alle percussioni, Bill Hunt ai corni, Steve Woolam ancora al violino e Rick Price al basso. Emerge allora un’originalissima performance Baroque-and-roll, come alcuni la definiscono, dove il violoncello fa la parte della chitarra e dove la psichedelia e il rock progressivo stringono la mano alla musica orchestrale.

Dobbiamo ancora aspettare pochi anni per i fasti popolari di capolavori come Out of the blue, del 1977, ma già questo primo lavoro risulta sorprendente da molti punti di vista. Se alcuni critici affermeranno che i successivi ELO II, prodotto da quella medesima Harvest che pubblicava nomi come Deep Purple, Pink Floyd e Roy Harper, e On The Third Day mancheranno d’ambizione sperimentale (cosa forse più giusta per il primo e più ingiusta per il secondo, che rimane un ottimo album), di certo The Electric Light Orchestra rappresenta il primo terreno di sfogo compositivo di una band colta e dinamitarda. Altri complessi avevano tentato l’orchestra – ad esempio i progressive Procol Harum, che sono stati definiti “i profeti del suono orchestrale” – ma i risultati, checché se ne dica, non sono quelli di Wood e Lynn.

10528 Overture è già una dichiarazione d’intenti: sembra di ascoltare i Beatles riarrangiati per prepotenti accordi d’arco e con una ventata di glam a rinfrescare il paesaggio sonoro. Queste considerazioni, che valgono anche per album come On The Third Day, sono più evidenti nella successiva, fiabesca e onirica traccia, Look at me now, che sembra una risposta a Eleanor Rigby (cinque anni prima) di McCartney, con arrangiamento d’archi di George Martin e dello stesso McCartney. Entrambi rappresentano brani un po' la prima storia viva del cosiddetto pop o rock barocco - non è un caso che se McCartney scelse per questo brano di non far suonare i compagni e di sostituirli con gli archi, fu a seguito di un ascolto entusiasta di Antonio Vivaldi, suggerito dalla compagna Jane Asher. Il pianoforte e la voce della melodica Nellie Takes Her Bow, oltre che ai Beatles, sembra ammiccare anche a Neil Young, che un anno prima aveva pubblicato un suo grande capolavoro, After the Gold Rush, e stava scrivendo nientedimeno che Harvest. Discorso a parte per l’eccentrica The Battle of Marston Moor, brano quasi del tutto orchestrale, filmico e narrativo, che recupera il tema storico dell'omonima battaglia del 1644, svoltasi durante la prima guerra civile inglese: la traccia è giocata su un arrangiamento complesso, fatto di parti melodiche, di veloci e persistenti staccati e guizzi di fiati e percussioni. Cambia il tono con la movimentata ballata Firts Movement, con protagonista questa volta la chitarra; Mr. Radio, divertente e spensierato brano che mima la ricerca di una stazione da parte di un radioamatore che passa da un brano mozartiano per poi approdare alle voci beatlesiane dei nostri, che cantano melanconici “Hello, Mr. Radio, you friendly station / So glad of your company, your morning music”: Mr. Radio è il pop sinfonico puro, come forse mai lo abbiamo sentito negli anni Sessanta. Manhattan Rumble è un incubo ancora più eccentrico di Marston Moor, e così Queen of the Hour. La chiusura, melodica e pensosa, è affidata a Whisper in the Night, scritta da Wood, che, purtroppo, abbandonerà di lì a poco la band dopo un tour senza alcun successo (proprio nella penisola, peraltro).

Se in America l’album è conosciuto come No answer è per uno di quegli impensabili giochi del destino: la casa discografica statunitense chiese, via telefono, il nome dell’album e gli fu risposto “senza risposta”.

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