A La concezione Artistico-Musicale di Adorno

La concezione Artistico-Musicale di Adorno

Nel campo del pensiero marxista la più importante voce critica riguardo alla concezione dell’arte "impegnata" così come intesa da Eisler (o peggio Gor'kij) è Adorno, che oltre ad analizzare nello specifico le funzioni della musica ha formulato una delle più dirompenti difese di un’arte che potremmo definire disimpegnata (nonostante per Adorno la vera arte sia tutto meno che disimpegnata, avendo essa una funzione critica radicata nella sua stessa essenza artistica). Né d’altro canto sono mancate osservazioni polemiche e accuse esplicite contro il realismo di modello marxista, e in particolare alle concezioni estetico-musicali dei Paesi dell’Est.

Pur riconoscendo che, alla radice, la musica è legata da un rapporto sostanziale con la società reale, Adorno afferma che questo legame non le impedisce di vivere sul piano dell’esistenza estetica, piano separato dal mondo empirico ed indifferente alle sue sollecitazioni. Si esclude così un diretto e pesante condizionamento sociale su tutti i livelli di costituzione dell’oggetto musicale. Alcuni interpreti hanno visto nel sistema filosofico adorniano l’ammissione di una completa determinazione della cultura, delle idee dell’uomo da parte delle condizioni socio-economiche. Interpretazioni errate, in quanto l’autore ha sempre sostenuto una concezione della storia non degenerata in fatalismo, in cui al centro sta l’uomo, con le sue convinzioni e con le sue scelte oltre che con i suoi condizionamenti. Adorno rivendica per l’individuo la capacità di trascendenza dello spirito umano sulla situazione e la critica di ogni concezione deterministica della storia, rifiutando così la teoria della dipendenza causale tra struttura e sovrastruttura. In questo contesto l’arte rappresenta una delle migliori manifestazioni possibili dello spirito umano. Ed è per questo che l’arte autentica (così come la filosofia), sono portate a fare luce sulle contraddizioni della realtà vigente, ponendosi come concreta alternativa ad un contesto di cecità sociale. È questa un’arte che nell’epoca del collettivismo repressivo ha la forza di resistere alla compatta maggioranza e che di conseguenza è davvero autonoma e priva di condizionamenti restrittivi in grado di vincolarla sui propri stessi contenuti.

Il tema dell’autonomia dell’arte (e quindi anche della musica) ha, nel discorso di Adorno, una funzionalità tutta particolare. Viene infatti riconosciuto un doppio carattere costitutivo dell’arte, che sarebbe contemporaneamente fatto sociale ed oggetto autonomo. Di qui la complessità della posizione adorniana. Occorre aggiungere che il carattere autonomo dell’arte e della musica non rappresenta per Adorno una costante storica. Non si possono quindi estendere gli attributi di “autonomia” e “purezza” alla totalità della produzione musicale, bensì è necessario riconoscere la storicità dell’autonomia estetica, e di conseguenza l’affermazione che il rapporto musica-società si sia articolato nel tempo in modi variabili. Facendo particolare riferimento alla società borghese Adorno riconosce che dal punto di vista sociologico la musica risulta tanto più interessante quanto minore è la sua compromissione diretta con le vicende sociali. Di qui la sua incapacità di accettare di conferire una pur minima dignità artistica (con annessi caratteri di autonomia e di purezza) ad ogni tipo di musica leggera, vista come una musica calata dall’alto (dall’industria culturale) e come tale totalmente compromessa con l’ordinamento sociale borghese. Di qui le accuse ad un sistema musicale complessivo fondato nel sistema capitalista, in cui “l’unica norma diventa la necessità di distendere gli ascoltatori dopo il faticoso processo lavorativo”, incoraggiando una passività che porta alla volgarità, all’instupidimento e alla distrazione dalla realtà esistente.

Questa logica del “rispecchiamento” è rifiutata sia per ciò che riguarda la società borghese sia per la società socialista. Da buon marxista critico Adorno rifiuta ogni tipo di vetero-marxismo erroneamente considerato ortodosso, identificando nella concezione realistica del rapporto arte-società un modello grossolanamente deterministico. Ciò perché al significato oggettivo, autentico, delle composizioni, si contrappongono lo scadimento e le deviazioni prodotte dalle funzioni sociali loro conferite. Questo scadimento va di pari passo per Adorno con il concetto di feticcio della merce, secondo un’interpretazione marxista che si avvicina molto all’interpretazione di György Lukàcs del Capitale (avvenuta nell’opera Storia e coscienza di classe): il filosofo ungherese lavora partendo dal presupposto di adottare in sede musicologica uno strumento teorico nato nell’ambito dell’analisi economica. Tale interpretazione mostra come la forma di merce giunga a permeare le manifestazioni di vita della società nella loro totalità, riplasmandole secondo la propria immagine, divenendo una forma dominante che influisce in maniera decisiva su tutte le manifestazioni di vita (di fatto una forma universale della strutturazione sociale). Va comunque precisato che Adorno non propone una semplice estensione della teoria marxiana alla vita musicale. Perché non sempre (e non necessariamente) il carattere di merce della musica implica la degenerazione feticistica dell’arte.

Resta il fatto che l’opera d’arte non è, per Adorno, una mera produzione fantastica totalmente scissa dal contesto storico-sociale. Andando più nel dettaglio: “La vera opera d’arte non è affatto separata dal contesto storico-sociale o dai problemi umani del tempo, anzi è costitutivamente in rapporto con essi ed addirittura prende posizione, ma in modo suo peculiare proprio con la sua indipendenza ed autonomia. Senza queste caratteristiche l’arte non può realmente adempiere alla sua funzione contestativa e critica e prospettare possibilità alternative.

In definitiva “in Adorno il valore estetico coincide con quello gnoseologico e morale”. Tutto ciò spiega perché l’opera d’arte non può ridursi, snaturandosi, ad un predicozzo attivista, in quanto con la sua stessa esistenza essa si distacca dalla situazione, fissando la negatività del reale e prendendo posizione nei suoi confronti. L’opera d’arte non può quindi essere tale senza la completa autonomia e la totale libertà dell’artista che la realizza. Senza tali caratteri si può avere ad esempio una canzone anche ben scritta, tale da essere uno strumento di propaganda più o meno raffinato ed efficace, ma mai un’opera d’arte. Perciò per Adorno parlare di “arte impegnata” significa mettere insieme termini contraddittori, giacché se si tratta di arte, essa non è impegnata; se viceversa è impegnata non è arte. Viene sottolineato che l’arte autentica si oppone, per sua natura, ai tentativi di integrarla nella società industriale avanzata, opponendosi sia alla funzionalizzazione borghese, sia allo strumentalismo del realismo socialista. Insistiamo sul dissenso di Adorno nei confronti dei regimi dell’Est Europa, per l’importante simbolicità di tale divergenza. Il realismo socialista considera l’arte nulla più che una “formatrice d’opinione”. Se nell’area Occidentale l’arte tende ad essere usata come strumento pubblicitario, nell’area Orientale è riconosciuta legittimità solo a quelle produzioni già confezionate in vista della propaganda, cioè come strumenti per procurare ed accrescere il consenso delle masse alle direttive che provengono dall’alto, da parte dei pochi che detengono il potere. Arte impegnata significa quindi arte che è funzionale a quelle direttive e che non le mette in discussione, perciò è uno strumento importante di quella strategia del consenso che mira a manipolare le persone, portandole ad aderire alle posizioni del gruppo dirigente del partito. Le conseguenze intraviste da Adorno sono la negazione dell’arte stessa e la disumanizzazione, due fattori che corrono di pari passo in quanto ridurre l’arte a strumento significa anche strumentalizzare l’uomo, subordinarlo alla logica del dominio, negandogli anche quei pochi momenti essenziali in cui, con l’autonomia dell’arte si esprime una società liberata dove sia riconosciuta la non fungibilità e quindi la dignità di ogni uomo.

Come abbiamo già intravisto però è errato pensare che Adorno, rifiutando l’arte impegnata, propagandi un’arte in sé disimpegnata. Pur non potendo essere impegnata o didattica l’arte per Adorno ha infatti una sua incidenza sociale, ma nel modo suo proprio, racchiudendo in sé un anelito ad un mondo umanizzato. A suo modo, cioè secondo il suo autonomo manifestarsi, il valore di verità delle opere, qualunque cosa sia ciò per cui esso in forza della loro complessione estetica rinvia oltre di loro, ha pur sempre il suo valore posizionale nella società. La vera arte insomma con la sua stessa presenza e la sua forma riesce “ad educare ed a cambiare la coscienza, esercitando così un’efficacia altamente mediata che difficilmente si può toccar con mano, ma la cui importanza, per una reale umanizzazione della società, non può sfuggire se non a chi non sa guardare più in là del proprio naso”.

La posizione di Adorno appare incredibilmente importante perché sembra prefigurare tutte quelle posizioni che mireranno a mettere in primo piano l’alterità culturale rispetto a quella eminentemente politica, giudicando anzi la musica comunicante l’alterità culturale l’unica vera musica politica.

(estratto rimaneggiato tratto da "Popular Music Politica. Un'analisi storico-sociale sul contesto italiano")

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Marco_Biasio alle 21:27 del 10 maggio 2011 ha scritto:

Articolo splendido, hai fatto benissimo a porlo in rilievo. Adorno è un autore che amo e che, a mio modo di vedere, ha fatto un'analisi centratissima sul ruolo della musica e delle sue implicazioni sociali nella società borghese dello spregiudicato capitalismo post-bellico. Pregnante, in particolar modo, il giudizio che egli dà della musica come arte in grado di svelare le brutture del presente attraverso un processo di dialettica negativa, sussistente di per sè su un piano estetico - superiore al piano squisitamente realistico, vedi anche le concezioni di Orfeo e Dioniso in Herbert Marcuse -, che con la sua stessa esistenza (e non, perciò, con una sua rilettura in chiave orientata, politicizzata o, peggio ancora, massificata) è capace di incidere sull'uomo e sul tessuto sociale. Il testo consigliatissimo per chi vuole approfondire i legami tra musica e politica (come sto facendo anch'io) è "Filosofia della musica moderna", del 1949. L'ideale compendio al quinto libro delle "Leggi" di Platone.