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R Recensione

6/10

Mars Volta

Octahedron

Non è stato facile lanciarsi nell’impresa di riascoltare tutti i dischi dei Mars Volta. Anzi, diciamolo schiettamente: è stato un vero e proprio viaggio dantesco, una discesa verso gli inferi più oscuri e terribili della musica contemporanea. D’altronde se c’è un gruppo che più di tutti ha spaccato critici e appassionati di musica questo è il caso dei Mars Volta, artefatto per alcuni all’avanguardia per altri allo sbando psicolabile.

Per quanto mi riguarda credo che ci sia un dato imprescindibile e oggettivo: Omar Rodríguez-López e Cedric Bixler-Zavala sono senz’altro due che hanno qualità tecniche e teoriche enormi, nonché una capacità di mettersi in gioco fuori dal comune, degna dei continui voltafaccia portati avanti un altro gruppo così poliedrico come i Radiohead. Al contrario di questi ultimi però è triste constatare che simili qualità non siano state sfruttate come avrebbero potuto. Il genio del duo non è riuscito a mettere a fuoco con efficacia un immenso talento creativo.

Se “De-Loused In The Comatorium era davvero un lavoro in grado di gettare solide fondamenta per la musica a venire non si può esprimere altrettanto per i lavori successivi, che dell’album d’esordio sembrano aver esasperato solo gli aspetti peggiori. Oramai infatti mi ero rassegnato a non riuscire di ascoltare per intero un disco dei Mars Volta. E pregavo il mio capo-redattore di lasciarmi scrivere qualche riga per lasciar sfogare tutta la mia amarezza e rabbia per lo sciupio di energie così preziose come quelle del duo. Poi arriva l’“Octahedron che non si vorrebbe neanche ascoltare, ma poi leggi in giro le solite note positive (con mio solito e ripetuto gran stupore) e alla fine la redazione ti scarica la patata bollente di un disco che nessuno ha voglia (per ovvi motivi) di affrontare.

E allora eccoci qua, con il pollice incredibilmente rivolto verso l’alto, seppur di poco, a parlare di “Octahedron”, il disco “pop” (o “elettrofolk” a tinte melodiche, a detta del duo) che riporta in auge strutture, melodie ed armonie più razionali ed efficaci. Fino ad un certo punto ovviamente, che di difetti “Octahedron ne ha ancora molti. Però tanto basta a far intravedere uno spiraglio di luce dalla nube di ipertecnicismo mastodontico in cui il gruppo si è lanciato negli ultimi anni, dimenticandosi completamente che la musica non va fatta a fini meramente autoreferenziali ma per un pubblico. Il dato più rilevante dal punto di vista stilistico è quindi il robusto abbandono degli eccessi psycho-prog-core più estremi, alla ricerca di una dimensione sonora più esistenziale, profonda e romantica.

Tali sono brani come “Since We’ve Been Wrong”, “With Twilight As My Guide” e “Copernicus”, i cui risultati sono discontinue e altalenanti. Amabile la prima, dalle tonalità morbide, calde, quasi classiche, in cui si mantiene una progressione (più rock che prog) dalle venature epiche, quasi totalmente prive di quell’aria barocca così tipica delle produzioni precedenti del gruppo. Più d’atmosfera ma ugualmente appassionata la seconda, nonostante un’andatura ancora più attenuata e minimale. Decisamente poco riuscita invece la terza, che scade in un patetismo blando assai privo di mordente.

L’idea di suonare con un approccio più soft condiziona anche i pezzi più “movimentati”, come “Teflon”, dalle venature acid-psycho che si fanno largo in una struttura già più sfumata e indefinita, in cui melodie malleabili tengono a bada la traccia di un formato prog. Più istrionica “Halo Of Nembutals”, che nonostante un cantato difficile (con toni da cantastorie allucinato e un po’ strampalato) si fa ascoltare senza picchi né cadute, con tanto di finalino colto in piano free-jazz. Con “Cotopaxi”, frenetica rincorsa prog-core, emergono più nettamente i vecchi difetti del gruppo: esagerazione, confusione, prolissità, mancanza di strutture ritmiche razionali e misurate, dispersività, e via dicendo. Tra questi ultimi due brani può porsi “Desperate Graves”, che scorre via tra pochi pregi e molti difetti.

Sulla lunga distanza emerge d’un tratto l’impressione di una certa mancanza di idee, di spunti creativi efficaci (cosa anomala per il gruppo, che se di una cosa si deve accusare è di aver accumulato e sovrapposto in maniera spropositata mille idee in spezzoni du due-tre minuti. Poi ti capita “Luciforms” e pensi che i Mars Volta potevano diventare così: incroci di chitarre taglienti e base ritmica roboante, divagazioni psycho-free entusiasmanti per una scossa elettrica complessiva di davvero notevole spessore, nonostante ancora una volta non si possa rimanere convinti fino in fondo dal cantato.

Potevano diventare così e invece sono quel che sono. Ma per una volta tanto tornano ad essere quantomeno accettabili.

V Voti

Voto degli utenti: 5,8/10 in media su 3 voti.
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4AS 7/10
Dengler 5,5/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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4AS (ha votato 7 questo disco) alle 13:23 del 20 ottobre 2009 ha scritto:

Il disco più o meno suona come i precedenti. Le uniche "novità" sono il ritmo più pacato delle canzoni e la loro lunghezza che è stata ridotta. Non sono d'accordo sulla mancanza di idee: per un gruppo che fa uscire un disco all'anno (dovrebbero rallentare altrimenti fra poco "scoppiano") mi sembra che ancora siano in grado di scrivere ottimi pezzi.

Marco_Biasio (ha votato 5 questo disco) alle 21:26 del 20 ottobre 2009 ha scritto:

Omar Rodriguez Lopez è uno dei musicisti, restringendomi alla cerchia del Nuovo Millennio, che ammiro di più: incredibile tecnica chitarristica, visionarietà di immagini, ricchissimo stile che pesca da hard rock, prog-core, psichedelia e, saranno le origini, moltissimo funk. Quello che realmente mi stupisce, detto ciò, è constatare come questo talento venga gettato letteralmente via con i Mars Volta (e quindi quoto, praticamente, quello che dici tu, Alessandro). La loro apparente "anarchia strutturale" richiama, in realtà, una gabbia procedurale ancora più fissa e severa che non in pezzi normali: ritmi tumultuosi, chitarre in pieno divagare (ma a me pare evidente che ci sia un preciso disegno dietro tutto ciò), falsetti al limite dell'accettabile (se c'è uno che proprio non sopporto è Bixler-Zavala) e sbrodolamenti strumentali di una ridondanza davvero manieristica. Le striature più psichedeliche e galleggianti dei suoi dischi solisti, per dirne una, sono decisamente migliori rispetto a quelle della band di provenienza. "Octahedron" mi pare, a conti fatti, leggermente meglio di quel cesso abnorme di "Amputechture", ma sotto un "The Bedlam In Goliath" che, per quanto comunque insostenibile, aveva dalla sua parte un gran brano come "Wax Simulacra", l'unico che mi piaccia davvero fino in fondo del gruppo. Mi pare che le atmosfere acustiche scorcino di molto gli effetti epici e parenetici di questa musica, gonfiandone ancora di più il coefficiente di ampollosità e incapacità di giungere al sodo. In sintesi (molto in sintesi): massimo rispetto per Rodriguez-Lopez, ma è ora di cambiare aria, se questo è quello che si ottiene. Per me siamo sul 4,5!