Mars Volta
Octahedron
Non è stato facile lanciarsi nellimpresa di riascoltare tutti i dischi dei Mars Volta. Anzi, diciamolo schiettamente: è stato un vero e proprio viaggio dantesco, una discesa verso gli inferi più oscuri e terribili della musica contemporanea. Daltronde se cè un gruppo che più di tutti ha spaccato critici e appassionati di musica questo è il caso dei Mars Volta, artefatto per alcuni allavanguardia per altri allo sbando psicolabile.
Per quanto mi riguarda credo che ci sia un dato imprescindibile e oggettivo: Omar Rodríguez-López e Cedric Bixler-Zavala sono senzaltro due che hanno qualità tecniche e teoriche enormi, nonché una capacità di mettersi in gioco fuori dal comune, degna dei continui voltafaccia portati avanti un altro gruppo così poliedrico come i Radiohead. Al contrario di questi ultimi però è triste constatare che simili qualità non siano state sfruttate come avrebbero potuto. Il genio del duo non è riuscito a mettere a fuoco con efficacia un immenso talento creativo.
Se De-Loused In The Comatorium era davvero un lavoro in grado di gettare solide fondamenta per la musica a venire non si può esprimere altrettanto per i lavori successivi, che dellalbum desordio sembrano aver esasperato solo gli aspetti peggiori. Oramai infatti mi ero rassegnato a non riuscire di ascoltare per intero un disco dei Mars Volta. E pregavo il mio capo-redattore di lasciarmi scrivere qualche riga per lasciar sfogare tutta la mia amarezza e rabbia per lo sciupio di energie così preziose come quelle del duo. Poi arriva lOctahedron che non si vorrebbe neanche ascoltare, ma poi leggi in giro le solite note positive (con mio solito e ripetuto gran stupore) e alla fine la redazione ti scarica la patata bollente di un disco che nessuno ha voglia (per ovvi motivi) di affrontare.
E allora eccoci qua, con il pollice incredibilmente rivolto verso lalto, seppur di poco, a parlare di Octahedron, il disco pop (o elettrofolk a tinte melodiche, a detta del duo) che riporta in auge strutture, melodie ed armonie più razionali ed efficaci. Fino ad un certo punto ovviamente, che di difetti Octahedron ne ha ancora molti. Però tanto basta a far intravedere uno spiraglio di luce dalla nube di ipertecnicismo mastodontico in cui il gruppo si è lanciato negli ultimi anni, dimenticandosi completamente che la musica non va fatta a fini meramente autoreferenziali ma per un pubblico. Il dato più rilevante dal punto di vista stilistico è quindi il robusto abbandono degli eccessi psycho-prog-core più estremi, alla ricerca di una dimensione sonora più esistenziale, profonda e romantica.
Tali sono brani come Since Weve Been Wrong, With Twilight As My Guide e Copernicus, i cui risultati sono discontinue e altalenanti. Amabile la prima, dalle tonalità morbide, calde, quasi classiche, in cui si mantiene una progressione (più rock che prog) dalle venature epiche, quasi totalmente prive di quellaria barocca così tipica delle produzioni precedenti del gruppo. Più datmosfera ma ugualmente appassionata la seconda, nonostante unandatura ancora più attenuata e minimale. Decisamente poco riuscita invece la terza, che scade in un patetismo blando assai privo di mordente.
Lidea di suonare con un approccio più soft condiziona anche i pezzi più movimentati, come Teflon, dalle venature acid-psycho che si fanno largo in una struttura già più sfumata e indefinita, in cui melodie malleabili tengono a bada la traccia di un formato prog. Più istrionica Halo Of Nembutals, che nonostante un cantato difficile (con toni da cantastorie allucinato e un po strampalato) si fa ascoltare senza picchi né cadute, con tanto di finalino colto in piano free-jazz. Con Cotopaxi, frenetica rincorsa prog-core, emergono più nettamente i vecchi difetti del gruppo: esagerazione, confusione, prolissità, mancanza di strutture ritmiche razionali e misurate, dispersività, e via dicendo. Tra questi ultimi due brani può porsi Desperate Graves, che scorre via tra pochi pregi e molti difetti.
Sulla lunga distanza emerge dun tratto limpressione di una certa mancanza di idee, di spunti creativi efficaci (cosa anomala per il gruppo, che se di una cosa si deve accusare è di aver accumulato e sovrapposto in maniera spropositata mille idee in spezzoni du due-tre minuti. Poi ti capita Luciforms e pensi che i Mars Volta potevano diventare così: incroci di chitarre taglienti e base ritmica roboante, divagazioni psycho-free entusiasmanti per una scossa elettrica complessiva di davvero notevole spessore, nonostante ancora una volta non si possa rimanere convinti fino in fondo dal cantato.
Potevano diventare così e invece sono quel che sono. Ma per una volta tanto tornano ad essere quantomeno accettabili.
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