Offlaga Disco Pax
Gioco Di Società
Ci sono due caratteristiche che hanno reso grandi gli Offlaga Disco Pax: la capacità di raccontare storie rievocando episodi personali e intimi, è la prima; la capacità di legarle ad un tessuto connettivo che collega il privato al pubblico, sfondando nell'immaginario collettivo, è la seconda. La terza caratteristica, superflua (da un mero punto di vista extramusicale) ma in fondo determinante, è che gli Offlaga Disco Pax, autodefinitisi “collettivo neosensibilista contrario alla democrazia nei sentimenti”, sono dei compagni come ce ne sono pochi in circolazione. Non è una cosa da poco né per chi scrive né per l'ascoltatore generico. Difficilmente un “giovine democristo” potrebbe accettare una componente così esplicita ed esposta senza aver introiettato una forte e dispersa coscienza socialista.
In fondo quanti di noi hanno avuto la fortuna di vivere a due passi da Piazza Lenin, a Cavriago, nella rossa Emilia? Assai pochi purtroppo, e i più sfortunati di noi quell'entità metafisica del “Partito” (con la pi maiuscola sia chiaro) non l'hanno mai conosciuta, se non in una versione ridotta ed inadeguata alle esigenze del momento.
È per questo che gli Offlaga fanno per noi. Ed è per questo che apprezzeremo naturalmente e spassionatamente anche Gioco di Società, dopo aver amato alla follia Socialismo tascabile ed aver goduto con la solidità di Bachelite.
D'altronde il terzo lp del gruppo mantiene quelle caratteristiche portanti che servono a farlo amare. Senza catastrofiche perestrojke o svolte della Bolognina ruvide e rovinose. Emerge appena qualche piccolo accorgimento qua e là, con garbo, senza dar troppo nell'occhio. Di fatto però le colonne portanti sono fortunatamente le solite. Più accessibili (e forse meno emozionalmente incisive), anche se musicalmente assai raffinate sono Parlo da solo e Desistenza, elettro-wave intimista/criptica che scorre via tra bassi densi e schiumose onde sonore; nello stesso filone troviamo Sequoia, rievocazione rurale accompagnata da gettoni elettro-glitch.
Poi ci sono i racconti: Tulipani, e l'epopea dell'olandese Johan van der Velde al giro d'Italia del 1988, è l'evidente tentativo di ripetere l'exploit di Ventrale, perdendo però il confronto; più intrigante e avvolgente (tra basi che fondono Aphex Twin e linee alla Amnesiac) è Respinti all'uscio, rievocazione di uno storico concerto a Reggio Emilia dei Police terminato tra saccheggi e tumulti. A pagare e morire... è il momento più riflessivo e languido del disco, e pur non raggiungendo i picchi tristissimi di Cioccolato iacp e Venti minuti, lo chiude in maniera umorale e desolante, narrando una scontro tumultuoso tra proletariato ed un più disastrato sottoproletariato che porta Collini alla seguente non-conclusione: “com'è possibile che io sia finito da scudo umano ai risparmi della classe media non me lo spiegare”.
Infine i momenti politici, che si aggiungono a illustri precedenti. Palazzo Masdoni, le cui malinconie si muovono tra sgocciolanti note e deragliamenti elettrici, rappresenta la sintesi perfetta dell'identità Offlaga: la volontà di far coincidere il Partito con la propria casa, anche in tempi di riflusso, perchè le mode in periferia arrivano più tardi... Eppure quel portone di Palazzo Masdoni, sede del Partito, rimane illibato, candido, fulgido nella memoria del militante, che non dimentica l'autorevolezza di un mondo che sapeva farsi rispettare. Qui scorre una lacrima di nostalgia, grazie ad una potenza espressiva che il gruppo aveva finora comunicato solo in capolavori come Piccola Pietroburgo e Tatranky.
Con Piccola storia ultras invece la lacrima lascia il posto al pugno chiuso: in un pezzo aggressivo e dinamico fin dall'incipit industrial (e che prosegue in un crescendo sonoro straripante), Collini lascia pieno sfogo di un'inventiva lirica al limite del sublime, capace di coniugare ricordo infantile (“se c'erano Fanfani e Almirante volava un coppino se stavo ad ascoltare”), umorismo (“una trasmissione dei valori efficace, ancorchè... dolorosa”), calcio (“avevo nove anni... sapevo solo che tifavo per quella squadra”), invettiva politica (su Gheddafi), riflessione social-culturale (il cambiamento dei rapporti di forza è spiegato con il voltafaccia degli ultras: dai canti popolari di protesta agli slogan filoamericani) e rievocazione musical-popolare. In questo punto il momento più intenso del disco, ricongiunzione ideale tra Max Collini e Fausto Amodei, tra i compagni sparsi e spaesati di oggi e i ragazzotti con le camice a righe del luglio 1960, passando per quegli anni '70 in cui allo stadio si potevano sentire cantare, sulle note di “Per i morti di Reggio Emilia”, strofe come queste:
"Sangue nei popolari, sangue nei distinti
le abbiamo prese ma non siamo vinti.
E' ora di rifarsi è ora di sparare,
il sangue dei compagni dobbiamo vendicare.
Sangue nei distinti, sangue nel palazzetto,
noi siamo tutti quanti ultras-ghetto."
Gioco di Società nel complesso è forse più pacato e meno politico dei precedenti album, ma è ancora in grado di mordere e nel complesso mostra una creatività ed una freschezza solidissime. Roba da far invidia a quel lurido clerk i cui video vanno in televisione. Sono lui e tutti i suoi simili che dovrebbero provare invidia per una realtà consolidata del panorama musicale italiano. Offlaga Disco Pax.
Tra 30 anni diremo: «era un periodo di merda. Almeno c'erano gli Offlaga ad aiutarci a resistere ricordandoci con le loro canzoni quel che ci diceva anche un altro filosofo di quel tempo: “dobbiamo ricominciare dall'inizio, e gli inizi sono sempre i più duri. Ma può anche essere che l'inizio sia già avvenuto e che oggi sia questione di fedeltà a quell'inizio. Questo, allora, è il compito che abbiamo di fronte.” Però credimi figliolo, gli Offlaga erano meglio perchè lo dicevano a ritmo di wave e senza troppo pathos.»
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