V Video

R Recensione

7/10

Offlaga Disco Pax

Gioco Di Società

Ci sono due caratteristiche che hanno reso grandi gli Offlaga Disco Pax: la capacità di raccontare storie rievocando episodi personali e intimi, è la prima; la capacità di legarle ad un tessuto connettivo che collega il privato al pubblico, sfondando nell'immaginario collettivo, è la seconda. La terza caratteristica, superflua (da un mero punto di vista extramusicale) ma in fondo determinante, è che gli Offlaga Disco Pax, autodefinitisi “collettivo neosensibilista contrario alla democrazia nei sentimenti”, sono dei compagni come ce ne sono pochi in circolazione. Non è una cosa da poco né per chi scrive né per l'ascoltatore generico. Difficilmente un “giovine democristo” potrebbe accettare una componente così esplicita ed esposta senza aver introiettato una forte e dispersa coscienza socialista.

In fondo quanti di noi hanno avuto la fortuna di vivere a due passi da Piazza Lenin, a Cavriago, nella rossa Emilia? Assai pochi purtroppo, e i più sfortunati di noi quell'entità metafisica del “Partito” (con la pi maiuscola sia chiaro) non l'hanno mai conosciuta, se non in una versione ridotta ed inadeguata alle esigenze del momento.

È per questo che gli Offlaga fanno per noi. Ed è per questo che apprezzeremo naturalmente e spassionatamente anche Gioco di Società, dopo aver amato alla follia Socialismo tascabile ed aver goduto con la solidità di Bachelite.

D'altronde il terzo lp del gruppo mantiene quelle caratteristiche portanti che servono a farlo amare. Senza catastrofiche perestrojke o svolte della Bolognina ruvide e rovinose. Emerge appena qualche piccolo accorgimento qua e là, con garbo, senza dar troppo nell'occhio. Di fatto però le colonne portanti sono fortunatamente le solite. Più accessibili (e forse meno emozionalmente incisive), anche se musicalmente assai raffinate sono Parlo da solo e Desistenza, elettro-wave intimista/criptica che scorre via tra bassi densi e schiumose onde sonore; nello stesso filone troviamo Sequoia, rievocazione rurale accompagnata da gettoni elettro-glitch.

Poi ci sono i racconti: Tulipani, e l'epopea dell'olandese Johan van der Velde al giro d'Italia del 1988, è l'evidente tentativo di ripetere l'exploit di Ventrale, perdendo però il confronto; più intrigante e avvolgente (tra basi che fondono Aphex Twin e linee alla Amnesiac) è Respinti all'uscio, rievocazione di uno storico concerto a Reggio Emilia dei Police terminato tra saccheggi e tumulti. A pagare e morire... è il momento più riflessivo e languido del disco, e pur non raggiungendo i picchi tristissimi di Cioccolato iacp e Venti minuti, lo chiude in maniera umorale e desolante, narrando una scontro tumultuoso tra proletariato ed un più disastrato sottoproletariato che porta Collini alla seguente non-conclusione: “com'è possibile che io sia finito da scudo umano ai risparmi della classe media non me lo spiegare”.

Infine i momenti politici, che si aggiungono a illustri precedenti. Palazzo Masdoni, le cui malinconie si muovono tra sgocciolanti note e deragliamenti elettrici, rappresenta la sintesi perfetta dell'identità Offlaga: la volontà di far coincidere il Partito con la propria casa, anche in tempi di riflusso, perchè le mode in periferia arrivano più tardi... Eppure quel portone di Palazzo Masdoni, sede del Partito, rimane illibato, candido, fulgido nella memoria del militante, che non dimentica l'autorevolezza di un mondo che sapeva farsi rispettare. Qui scorre una lacrima di nostalgia, grazie ad una potenza espressiva che il gruppo aveva finora comunicato solo in capolavori come Piccola Pietroburgo e Tatranky.

Con Piccola storia ultras invece la lacrima lascia il posto al pugno chiuso: in un pezzo aggressivo e dinamico fin dall'incipit industrial (e che prosegue in un crescendo sonoro straripante), Collini lascia pieno sfogo di un'inventiva lirica al limite del sublime, capace di coniugare ricordo infantile (“se c'erano Fanfani e Almirante volava un coppino se stavo ad ascoltare”), umorismo (“una trasmissione dei valori efficace, ancorchè... dolorosa”), calcio (“avevo nove anni... sapevo solo che tifavo per quella squadra”), invettiva politica (su Gheddafi), riflessione social-culturale (il cambiamento dei rapporti di forza è spiegato con il voltafaccia degli ultras: dai canti popolari di protesta agli slogan filoamericani) e rievocazione musical-popolare. In questo punto il momento più intenso del disco, ricongiunzione ideale tra Max Collini e Fausto Amodei, tra i compagni sparsi e spaesati di oggi e i ragazzotti con le camice a righe del luglio 1960, passando per quegli anni '70 in cui allo stadio si potevano sentire cantare, sulle note di “Per i morti di Reggio Emilia”, strofe come queste:

"Sangue nei popolari, sangue nei distinti

le abbiamo prese ma non siamo vinti.

E' ora di rifarsi è ora di sparare,

il sangue dei compagni dobbiamo vendicare.

Sangue nei distinti, sangue nel palazzetto,

noi siamo tutti quanti ultras-ghetto."

Gioco di Società nel complesso è forse più pacato e meno politico dei precedenti album, ma è ancora in grado di mordere e nel complesso mostra una creatività ed una freschezza solidissime. Roba da far invidia a quel lurido clerk i cui video vanno in televisione. Sono lui e tutti i suoi simili che dovrebbero provare invidia per una realtà consolidata del panorama musicale italiano. Offlaga Disco Pax.

Tra 30 anni diremo: «era un periodo di merda. Almeno c'erano gli Offlaga ad aiutarci a resistere ricordandoci con le loro canzoni quel che ci diceva anche un altro filosofo di quel tempo:dobbiamo ricominciare dall'inizio, e gli inizi sono sempre i più duri. Ma può anche essere che l'inizio sia già avvenuto e che oggi sia questione di fedeltà a quell'inizio. Questo, allora, è il compito che abbiamo di fronte.” Però credimi figliolo, gli Offlaga erano meglio perchè lo dicevano a ritmo di wave e senza troppo pathos.»

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 13 voti.
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target 7/10
redbar 8/10

C Commenti

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hiperwlt (ha votato 8 questo disco) alle 1:02 del 21 marzo 2012 ha scritto:

com'è possibile che io sia finito a fare da scudo umano ai risparmi della classe media non me lo spiegare

d'accordo con Alessandro su tutta la linea, e confermo quanto già espresso sul forum: un sound meno denso e ancor più scarno - ma ben al servizio dell'enfasi lirica e della prosodia di collini -, meno potente nei testi in termini d'impatto (forse, appunto, perché meno connotati politicamente rispetto al passato...questa è l'impressione); ma, anche a questo giro, la sensazione è di non averne mai abbastanza. "palazzo masdoni" e "a pagare e morire" su tutte: 7,5.

ozzy(d) (ha votato 5 questo disco) alle 10:00 del 21 marzo 2012 ha scritto:

i testi lanciano tante interessanti riflessioni, ma la musica è sempre più scarna e insignificante, non fa per me.

tramblogy (ha votato 8 questo disco) alle 21:09 del 21 marzo 2012 ha scritto:

Bello...musicalmente poetico e malinconico

Randolph_Carter (ha votato 8 questo disco) alle 15:59 del 22 marzo 2012 ha scritto:

sono stregato dalle loro atmosfere e dalla loro capacità di trasmettere emozioni.

Ma capisco che possano non piacere per nulla! I limiti vocali del non-cantante emergono anche un po' di più in questo EP..

target (ha votato 7 questo disco) alle 23:01 del 27 marzo 2012 ha scritto:

Così, per sport

Mi ero avvicinato a "Gioco di società" (chissà perché) con un po' di diffidenza. Forse perché credevo che alla terza prova la formula potesse stancare. Così non è. Collini è più introverso e meno arrembante, ma gli aneddoti provinciali ce li ha sempre, ed è interessante come a colpire siano quelli senza la tipica patina rétro ("A pagare e morire", soprattutto). Peccato per qualche prova musicalmente bruttina ("Respinti all'uscio", ad esempio). Resta, in effetti, la loro cosa minore, ma agli Offlaga si vuol sempre bene e qui non manca roba per volergliene (anche "Tulipani", per me).

redbar (ha votato 8 questo disco) alle 9:27 del 17 aprile 2012 ha scritto:

Memorie intime e collettive su un tappeto elettronico che scorre dagli anni 80 ad oggi. La formula degli Offlaga è sempre affascinante e colpisce orecchie e cuore. E poi la pronuncia reggiana di Collini è un piacere da ascoltare.