A Ulver - The Norwegian National Opera (DVD/Blu-Ray, Kscope Records)

Ulver - The Norwegian National Opera (DVD/Blu-Ray, Kscope Records)

Il mio usuale atteggiamento nei confronti dei DVD di concerti è di grande noia: non riesco proprio a godermi un live in video con la convinzione di riuscire a cogliere anche qualche sfumatura emozionale fotografata dalla realtà: e a nulla vale lo status di essere un fan della band o dell’artista di cui osservo la videoregistrazione. Raramente sono rimasto inchiodato fino alla fine con l’idea di non assistere semplicemente alla riproposizione di una performance ma almeno con il sapore di aver visto un film. Ebbene, questo raro evento, di recente, mi è accaduto per ben tre volte, con il “Live In Athens” degli Archive, con il magistrale “New Blood – Live In London” di Peter Gabriel e con questo “The Norwegian National Opera” degli Ulver. Fra i tre citati, quello dei norvegesi è in assoluto il lavoro in cui si fa più tangibile la teatralità dell’esibizione, della quale si compartecipa allo stesso sospeso stato d’animo a cui essa sospinge. La tournée è quella di “Shadows Of The Sun”, ma il concerto che il 31 Luglio 2010 ha preso vita sul palco del Teatro dell’Opera di Oslo è studiato ad hoc, per rimanere irripetibile nella memoria degli astanti. Musica, filmati e azioni sceniche (le inquietanti pièce di Iain Johnstone: lo vediamo ad inizio concerto pendere da un cappio, con le sembianze di un Cirano dalla cui bocca cola abbondantemente sangue), si fondono in unicum artistico nel quale ogni significato è metonimico rispetto alla reazione suscitata. Le immagini della caccia alle zebre da parte dei leoni della savana, in Let The Children Go, si sovrappongono a quelle della band la cui musica le dona quella pulsazione sacrale che le strappa alla natura documentaristica che mille volte abbiamo visto in Quark, per riconsegnarle ad una dimensione quasi ancestrale. Il discorso è analogo per ogni altra proiezione prescelta per il liveshow: in Little Blue Bird l’intuizione di ribaltare le scene d’archivio di qualche olimpiade del passato dona al movimento dei tuffatori l’impressione di perdersi nel cielo.

Ripresa in alta definizione da sei telecamere, perfetta scorre la performance degli Ulver, incarnati per la serata in questione da Kristoffer Rygg (corpulento frontman, sommo sacerdote e muezzin della band), Daniel O’Sullivan (talentuoso compositore, chitarrista, bassista e pianista inglese, ormai perno centrale dell’ensemble e leader anche dei Mothlite dei quali si consiglia “The Flax Of Reverie”), Christian Fennesz (c’è bisogno di presentare questo grande genio creativo contemporaneo, che siede dietro i suoi marchingegni elettronici?), Tomas Pettersen (batteria), Tore Ylwizaker (mastro tastierista), Ole Alexander Halstensgard e Jorn H. Svaeren (sperimentatori “alla console”). La setlist è incentrata sui brani del citato “Shadows Of The Sun” (uno fra più abbacinanti dischi che il nuovo millennio ci ha consegnato: Eos, Let The Children Go, Funebrae, Like Music vengono suonate con una pienezza sonora che in studio quasi non si riusciva a cogliere), ma si pesca anche da “Blood Inside” (del 2005, For The Love Of God, Operator e The Red), da “Svidd Neger” (Rock Massif), da “Perdition City” (altra gemma del 2000, da cui vengono eseguite A Cold Kiss e Hallways of Always), da “Teachings In Silence” (una strepitosa versione di Not Saved ed un estratto dalla parte finale di Silence Teaches You How To Sing). Come unica anteprima da “Wars Of The Roses”, la magnetica England. A lasciare il segno, è il caso di dirlo, la pièce finale di Iain Johnstone che completamente nudo, piegato e con le terga rivolte verso il pubblico, si scarifica le gambe fino a farne colare il sangue sulle tavole del palco. L’intera esibizione ruota attorno al concetto dell’avviluppamento/avvicendamento fra male e bene, come entità che si rincorrono in risposta ad un ordine naturale delle cose, nel caso del regno animale e vegetale, ma anche come sovvertimento di tale ordine quando è l’essere umano ad essere coinvolto: le proiezioni prescelte, da quelle più eteree a quelle più macabre, da quelle più agresti a quelle più urbane, da quelle celestiali a quelle terrene, sembrano tese a richiamare l’attenzione su questi contrasti, passando da colori caldi e avvolgenti all’uso del bianco e nero, gestendo sapientemente le transizioni verso le inquadrature sui membri della band (talvolta quasi non si capisce se il soggetto si trova alle spalle del gruppo o fra loro: effetto particolarmente suggestivo lo si ha con le nuvole o con la semplice potenza evocativa di un sole nascente). Il suono è eccelso e palesa in modo quasi maniacale le aspirazioni degli Ulver che evolvono senza soluzione di continuità da un ambient-tribale fino ad un trip-hop progressivo.

Questi fantastici musicisti hanno sviluppato una propria alchimia sonora, senza mai ripeterla nella stessa forma per due album di seguito. Se volete cogliere la vera essenza di una band veramente importante del nostro presente, potete anche cominciare da qui. C’è qualcosa in questo concerto che mi ha riportato alla mente il primo tour in qualità di P.G.R. (Per Grazia Ricevuta), di Giorgio Canali, Gianni Maroccolo e Giovanni Lindo Ferretti, quando sul palco c’erano ancora Francesco Magnelli, Ginevra di Marco e l’indimenticato guru elettronico di Hector Zazou: credo che esista una sottile linea rossa che, forse inconsapevolmente, lega queste due vicende musicali.

Il senso finale della ricerca proposta nel corso dell’esibizione appare evidente con la domanda che appare sullo schermo quando la musica finisce: “what kind of animal are you”? L'animale secondo natura o quello secondo cultura? Quello che ha eretto un muro fra le due possibilità? È chiaro che gli Ulver pongano in opera una riconciliazione fra queste condizioni dell’esistere, almeno attraverso la loro elaborata, intricata, mutevole espressione artistica.

Per approfondire: http://www.kscopemusic.com/ulver/thenorwegiannationalopera/

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