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R Recensione

7/10

Kreidler

Tank

Nella prima metà degli anni '50 si usava avvisare le persone che andavano a visitare l'Africa per lungo tempo del pericolo di avvertire sintomi del “going black under the skin” (diventare nero sotto la pelle). Un pericolo spirituale che minacciava l'europeo con la sua psiche sempre più freddamente razionale quando veniva a contatto con la mentalità delle tribù africane molto più vicine al loro lato inconscio e numinoso. È un sintomo che spiega quanto l'immersione in una cultura possa influenzare la psicologia di una persona senza che questa ne sia effettivamente cosciente. Influenzati dalla scena tedesca che annovera tra le sue file gemme preziose quali Neu!, Faust e Can, e dall'elettronica ricercata di artisti del calibro di Autechre, Pan Sonic e Monolake, i Kreidler sono tedeschi, di Duesseldorf, e la loro musica ne è il risultato. Ma non solo, perché questi un tempo ragazzi di Duesseldorf non si rifanno semplicemente a sonorità kraut rock oriented, ma danno un'impronta originale e tecnologica alle loro atmosfere che brillano di luce cupa.

Formatisi nel 1994 quando erano Thomas Klein, Andreas Reihse, Detlef Weinrich e Stefan Schneider, che andò a formare i forse più celebri To Rococo Rot lasciando il posto ad Alex Paulick, i Kreidler sono autori di una musica psichedelica dalla ritmica ossessiva. Il loro gusto è profondamente radicato nel kraut e nella pre-techno dei Kraftwerk ma ancora di più nell'elettronica tipica degli anni '90, con i suoi robusti pattern ritmici reiterati (Monolake) e synth analogici degni del miglior industrial in stile Pan Sonic, i quali si muovono e oscillano come un fiume in piena che scorre tra i suoi immensi meandri, autocelebrandosi come protagonisti in ombra. Il loro scheletro dalle forme ripetitive va a creare delle fondamenta solide attorno alle quali vanno e vengono echi di chitarra, piccoli suoni, accenni di melodia, come nell'ipnotica "Evil Love", che vagamente porta alla memoria le invenzioni chitarristiche di Manuel Gottsching.

È la freddezza nordica che fa da stregona a tutte le tracce che permeano “Tank”, un'atmosfera d'attesa e d'angoscia ("Kremlin Rules") e una continua reiterazione che serra la mascella e manda in visibilio gli amanti della ritmica ridondante e avvolgente. Non si griderà al miracolo, ma una ventata di psichedelia dalle tinte kraut dal sapore di una cisterna (Tank) di ghiaccio non può che fare bene.

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