R Recensione

8/10

Parts & Labor

Receivers

E fu il trionfo del pop. Volendo riassumere in una sentenza il succo di Receivers si sarebbe davvero tentati di usare una formuletta del genere. Peccato che in molti sarebbero già pronti a far notare come una qualche forma di pop fosse già presente in maniera consistente in Mapmaker (2007), senza contare il fatto che in fondo neanche per Receivers si può parlare in maniera semplificatrice e banale di generico pop, neanche associandovi la parolina magica “indie” a fianco col trattino. Non siamo ancora in questo campo, nonostante il gruppo (da poco diventato un quartetto dopo l’arrivo di Sarah Lipstate a tastiera-chitarra) sembri procedere in quella direzione.

Occorre allora calare il termine “pop” in un attitudine sonora e stilistica ben marcata di un collettivo che nella sua carriera già corposa ha dimostrato con la sua originalità stilistica di non poter essere rinchiuso in facili etichette o conformismi.

E lo sfondo musicale in cui va calato è nient'altro che la splendida New York avant-rock che tanto si è fatta valere in questi anni (Tv on the Radio, Oneida, Liars). Seguendo un proficuo percorso il gruppo ha saputo svariare tra tendenze punk, math-rock, hardcore, kraut e psichedeliche, mostrando senz’altro una determinante passione per il noise di origine Sonic Youth.

Già qui si trova la svolta notevole di Receivers che vi preferisce senz’altro una maggiore attenzione per le melodie pop, curando particolarmente le parti vocali ma non disdegnando di abbassare il volume del feedback per un noise meno rude e più artistico o d’accompagnamento. Una minore invadenza ben evidenziata dall’indie-pop digitalizzato di Nowheres nigh, o dalla barocca ed enfatica Mount misery.

A marcare di più le successive Little ones e The ceasing now è però un’altra grossa novità, ossia la rilevanza di synth e tastiere (dovuta senz’altro all’approdo della Lipstate in formazione), che nei suddetti brani rubano la scena al resto della strumentazione per condurre nel primo caso verso un delirio psichedelico, nel secondo verso atmosfere più misteriose e cupe su cui si erge Dan Friel con un cantato imponente ed enfatico che esplode in un ritornello di grande intensità.

Ugualmente entusiasmante è l’indie-pop di Wedding in a wasteland in cui il fragore dell’effettistica tocca punte kraut-elettroniche con tanto di finale alla Oneida. Pungenti asperità kraut si ritrovano anche nell’opener Satellites, sublime incontro-scontro tra atmosfere fragorose, chitarre ipnotiche, effetti elettronici acidi, cantato evocativo e vibrante noise-rock; il tutto a creare un ciclone melodico epico e carico di un frastuono virtuoso e ricercato. Un crocevia di suoni che si ritrova anche in Prefix free, lisergica e avvolgente nelle sue atmosfere eteree e spaziali.

La conclusiva Solemn show world sposta il raggio d’azione in un post-punk ancora conscio degli insegnamenti psycho-kraut ma capace di unirvi onirità passionali, spirito indie e amore per il noise-pop. Quasi a unire fantasiosamente Oneida, Trail of Dead e Deerhunter. O più semplicemente a ricordare come il gruppo non voglia abbandonare il vigore e la varietà delle origini.

Ne viene fuori che Receivers è un disco compatto e curato, aperto e chiuso in maniera mirabile ma che forse non riesce ad avere quella marcia in più nella parte centrale. I detrattori denunciano la mancanza delle scorribande punk-core caratterizzanti il passato. Vero. In compenso però abbiamo un impeccabile modello di pop per le nuove generazioni. Chi ha buon orecchio intenda...

   

V Voti

Voto degli utenti: 5,5/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 5 questo disco) alle 23:01 del 23 ottobre 2008 ha scritto:

Peccato, per me si sono buttati via. Non sarà mica colpa dell'iper-prolificità? Non so, ma "Mapmaker", che pure nell'ultimo periodo mi era vertiginosamente calato, mi era piaciuto molto di più.