R Recensione

7/10

Roedelius

Selbstportrait VI, The Diary Of The Unforgotten

Hans-Joachim Roedelius è un pezzo di storia: membro fondatore dei Kluster, poi diventati Cluster, pilastro portante degli Harmonia, una serie straripante di collaborazioni con gente del calibro di Brian Eno, Michael Rother, Moebius, Plank, eccetera, e una carriera in solitaria (sotto il nome Roedelius per l’appunto) dalla produzione quantitativa talmente elevata che probabilmente nessuno di noi riuscirà mai ad ascoltare tutti i suoi dischi.

In tutto ciò il cardine è il kraut-rock nella sua versione cosmica, elettronica e ancorata all’esperienza classicistica e avanguardistica che aveva portato molti compositori ad interessarsi sulle nuove strumentazioni e sulle possibilità aperte dalla popular music. The diary of the unforgotten non è che uno degli oltre trenta album partoriti solo con la sigla Roedelius, eppure vale la pena di sentirlo ed apprezzarlo nella sua interezza. Un po’ perché nonostante l’uscita avvenuta nel 1995 l’album racchiude tutti brani registrati originariamente tra il 1973 e il 1978, ossia nel periodo più creativo e proficuo dell’artista, un po’ perché quando un disco è bello è bello, e i paragoni con le opere passate si possono fare ma lasciano il tempo che trovano.

Al di là della lunga suite (24 minuti) Hommage à forst, in cui si ritrovano tutti i bagliori freddi e lisergico-spaziali delle produzioni ambientroniche del primo periodo kraut, a colpire di più sono soprattutto le composizioni più umane e classiciste del lotto: l’escursione pianistica dal sapore schubertiano di Du, tocco lirico appassionato e retrogusto squisitamente romantico e raffinato; ma anche la struggente e travolgente semplicità di Ampfer. In mezzo troviamo l’ambient-kraut artefatto di I remember those days e Ausgewahlt, fatto di dilatazioni cosmiche e strutture digitali compassate, ma anche gli umori gotici di Manono e le atmosfere computeristiche più artificiali di Frohgemut e The diary of the unforgotten, composizioni in cui si snodano scale sonore spigolose e stratificate, serpeggianti tra accelerazioni, saliscendi e sovrapposizioni giocose.

Emerge la presenza di due anime in Roedelius: una calda, emozionale, umana, classicheggiante e tradizionale, l’altra fredda, razionale, geometrica, quasi robotica nelle studiate partiture elettroniche. Due anime affascinanti che talvolta si intrecciano con risultati ragguardevoli, come testimoniano le linee sinuose di Schoner abend, intreccio tra ambient e piano da camera monotono in cui si gioca sulle diverse gradazioni e sui volumi sonori; senza dimenticare gli eleganti schemi di Weg che chiudono un disco non indimenticabile (né tantomeno meritevole del titolo di capolavoro), ma che denota una profonda classe e un portamento nobile attento ad ogni dettaglio. Se non è un classico è solo perché arriva fuori tempo massimo, ma rimane pur sempre un gran bell’ascolto.

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Dr.Paul alle 16:30 del 15 aprile 2010 ha scritto:

pilastro veramente!!! quello che ha fatto con cluster e harmonia è storia!

Totalblamblam alle 15:12 del 21 aprile 2010 ha scritto:

gran signore

ma bowie quando mai ha collaborato con lui?

per chi fosse interessato consiglio il libretto "painting with sound" the life and music of R. di Stephen LLiffe

Alessandro Pascale, autore, alle 15:38 del 21 aprile 2010 ha scritto:

in effetti mai. Errore mio dovuto ad un pò di fretta e superficialità. Cercheremo di far correggere