Clogs
Lantern
Si può essere fuori dal tempo, di questi tempi? Senza dubbio sì, rispondono i quattro Clogs. Giunti al quarto album, sopravvivono audaci e un po’ snob nella personale ed ammaliante arcadia coltivata con gli anni e con la dedizione risoluta che occorre alle imprese titaniche.
Impressionante davvero la longevità del progetto, considerata l’anomala collocazione nel mercato discografico (come stona, la parola mercato, ascoltando Lantern), e nulla vieta di credere che proprio loro possano essere gli eredi della gloriosa Penguin Café Orchestra.
Chiarezza, per chi non li conoscesse: l’organico consta di archi (violino, viola, contrabbasso), chitarra classica e ukulele, bassoon e melodica (quello strumento a fiato che si intona con una tastiera), percussioni assortite, pianoforte. Le composizioni sono esclusivamente strumentali (eccettuata Lantern), ispirate nitidamente alla musica classica (che si tenga o meno conto dell’intro Kapsburger, parca rielaborazione di un vero e proprio pezzo del 1600barocco), e assolutamente acustiche.
Il clima si muove tra il pastorale (Tides Of Washington Bridge) e il romantico (la deliziosa 5/4), e tutto suona lieve, soffuso, quasi fragile. Affine talvolta al minimalismo reichiano, altre all’espressionismo più dissonante, la musica di Padma Newsome e colleghi maestri soffre talvolta di intellettualismo e richiede un po’ di pazienza e predisposizione d’animo, ma è inequivocabilmente frutto di amore profondo.
Lode per questo ai Clogs. Forse non per caso, ma certamente unici.
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