Tunng
Comments of the Inner Chorus
Dopo il fortunato debutto del 2005 Mother’s daughter and other songs, applaudito da critica e pubblico per la freschezza ed il fascino emanati, torna il duo di Birmimgham con un album che non si allontana molto dal precedente quanto a sonorità . Non che questo sia un male, anzi le canzoni hanno ancora quell’alone di mistero e quella dolcezza da serata sotto le coperte,ma l’impressione che si ha in alcuni frangenti è che venga a mancare quell’effetto sorpresa che elevava i Tunng dall’affollato carrozzone della scena folktronica.
Anche adesso comunque è tutto al posto giusto, le idee sono ancora ben chiare ed il progetto di vestire certa elettronica con gli abiti del folk è ancora molto valido.Qui si trovano ancora quelle delicatezze folk perfettamente incorporate a glitcherie elettroniche,samples vocali ripescati dal passato e da onde radio vaganti nell’etere,come dei The Books più interessati al pop e affascinati dai Boards of canada o dal primo Fourtet .
Si va dal gracchiare digitale di “Hanged” al dolcissimo controcanto femminile che impreziosisce e dona un senso di squilibrio al singolo “Woodcat” ,per poi battere il piede a ritmo con i cori malinconici di “The wind up bird”. “Red and green” ribadisce la gentilezza dei toni e la quietezza generale, mentre il loop vocale mal registrato che declama il titolo dell’album ci invita al fingerpicking inquinato da cigolii e glitch di “Stories” . A seguire “Jenny again” e’ un piccolo inno per gli amanti delle ninnananne indie col suo tono rincuorante e la sua amarezza di fondo mentre”Man in the box” si dilunga troppo coi suoi sperimentalismi e non riesce a decollare,a mio parere troppo ancorata a certi sfasamenti cerebrali e indecisa sulla direzione da prendere. E cosi anche “Jay down”,abbastanza anonima a dispetto del suo incedere fiero…
L’emozione riprende quota poi con “It’s because we’ve got hair”,probabilmente l’apice dell’album, filastrocca corale su base minimal techno e gentilezze acustico-fiabesche, per arrivare poi alla parte finale del disco, caratterizzata dalle atmosfere sinistre di “Sweet William” e di “Engine room”.
I Tunng con questo album confermano di essere una realtà in grado di evocare scenari capaci di resistere al susseguirsi degli ascolti e al passare del tempo,coniugando passione e sperimentazione in un mix dall'eleganza nettamente fuori dal comune….
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